L’Alchimia, oltre ad essere un’antichissima disciplina che combina elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina, misticismo ed essoterismo è anche un cammino attraverso il pensiero filosofico che porta, in un’esperienza di crescita conoscitiva, ad una forma (priva di connotati religiosi) di “liberazione” e di “salvezza” dell’individuo.
In una visione estremizzata di quest’aspetto salvifico la scienza alchemica dall’inizio del XIX secolo fin verso l’inizio del XX secolo venne metafisicizzata e sacralizzata dall’influenza dei gruppi iniziatici che impregnandola di valori mistici, ne modificarono profondamente il senso in una direzione esoterica-occulta.
E se risponde a verità affermare che i processi e simboli alchemici posseggono sovente un significato interiore relativo allo sviluppo spirituale in connessione con quello prettamente materiale della trasformazione fisica, la lettura e il senso dell’Alchimia hanno una profondità multidimensionale in cui l’elemento “magico-ascetico” non dovrebbe prendere il sopravvento.
Facilmente ricordiamo che gli alchimisti avevano come obiettivo primario la trasmutazione dei metalli vili in quelli nobili (oro e argento) e che tentarono di ricreare la panacea universale, un rimedio (una polvere, un liquido o una pietra) in grado di curare tutte le malattie e prolungare indefinitamente la vita, ma andrebbe anche messo l’accento sul fatto che l’Alchimia è stata ed è ancora una sintesi tra sapere filosofico e conoscenza scientifica che nel corso di circa 5000 anni di storia essa ha subito una serie di significative rivoluzioni e adattamenti (un esempio sono le applicazioni come la Metallurgia e la Spagiria), non perdendo mai di vista, comunque, il principio di comunione tra uomo e universo.
Le origini della parola Alchimia non sono note e vengono ricondotte a ben tre diverse situazioni etimologiche: la prima farebbe derivare il termine dall’arabo al-kimiya o al-khimiya (الكيمياء o الخيمياء), composto dall’articolo al- e la parola greca khumeia (χυμεία) che significa “fondere”, “colare insieme”, “saldare”; la seconda collega la parola con Al Kemi, che significa “l’arte egizia”, dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi, infine il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa “succo per fare l’oro”, infatti in Cina la parola Alchimia proponeva il concetto dell’immortalità fisica attraverso l’uso di sostanza esterne come droghe, erbe od agenti chimici.
Questa ricerca era denominata wai-tan (Alchimia esterna) e nacque attorno al IV secolo a.C. ovvero cinquecento anni prima che iniziassero gli studi sistematici in occidente, e sulla scia di queste scoperte, il nei-tan (Alchimia interna) cominciò la sua diffusione.
L’Alchimia è una scienza la cui formazione e il cui pensiero sono antichissime, probabilmente risalgono all’età del ferro.
Le tradizioni filosofiche abbracciano un arco di tempo stimabile in 5.000 anni e attraversano tutti i continenti, con forme e linguaggi a volte misteriosi e spesso simbolici.
Possiamo distinguere due grandi filosofie di pensiero che almeno in un primo momento storico sono state indipendenti fra loro: l’Alchimia orientale, riconducibile alla Cina e all’India, e l’Alchimia occidentale, il cui centro nei millenni è oscillato tra l’Egitto, l’antica Grecia, l’antica Roma, il mondo islamico ed alla fine l’Europa.
Alchimia cinese
Il “Paese di mezzo” è stato il centro di una tradizione alchemica risalente forse al IV-III secolo a.C., ma documentata con sicurezza per la prima volta nel Ts’an T’ung Ch’i, scritto intorno al 142 a.C. da Wei Po-Yang, sotto forma di commentario all’I-Ching, il Libro delle Mutazioni.
Egli affermava come i contenuti del Libro delle Mutazioni, delle dottrine taoiste e dei procedimenti alchemici fossero delle visione sistematiche diverse di un’unica materia ancestrale.
Il fondamento del processo alchemico era la dottrina dei cinque elementi (Acqua, Fuoco, Legno, Oro e Terra) e dei due contrari: yin, associato alla Luna e yang, associato al Sole, e dalla loro dinamica si originano tutti gli elementi.
Ogni elemento combinato con yang differirebbe da quello combinato con yin, nel senso che il primo è attivo e maschile, il secondo passivo e femminile.
Il testo, di non facile interpretazione, per le sue interferenze con dottrine cosmologiche e magiche, presenta una concezione evolutiva dei metalli e il loro trasferimento su piani non sperimentali, ora psichici, ora cosmici.
Nel IV secolo l’Alchimia ha un nuovo grande maestro in Ko Hung, detto Pao-p’u-tzu, che aggiunge alle tecniche indicate alcuni particolari metodi taoisti, di carattere pratico o meditativo, destinati alla conquista dell’immortalità.
La stretta connessione con la medicina tradizionale cinese consigliava infatti di praticare la meditazione taoista dell’orbita microcosmica perché la sua pratica costante permetteva una salute migliore ed un livello energetico più alto del normale.
Era possibile, tramite la pratica, dirigere il Chi all’interno del corpo, lungo la colonna vertebrale, fino alla corona e poi in basso nella parte anteriore, per chiudere il cerchio nel tan-tien inferiore (tre dita sotto l’ombelico).
È lo stesso concetto espresso dagli studi dello yoga e della kundalini, con la differenza che l’energia è continuamente riciclata all’interno del corpo, e non solo spinta verso l’alto, rappresentando comunque il confine tra il nostro corpo interiore ed il mondo esterno. Attraverso la pratica dell’orbita microcosmica, l’uomo diventa consapevole dell’unicità della sua esistenza, totalmente in relazione con l’esistenza del pianeta in cui vive, la Terra.
Alchimia indiana
La storia e le sperimentazioni dell’Alchimia ci sono tramandate da un alchimista che visse in Persi nell’XI secolo chiamato al-Biruni (973–1048), il quale scrisse che gli Indù avevano una scienza simile all’Alchimia, che era chiamata rasayana (che significa via del succo o dell’essenza), indicando con essa l’uso di una medicina che allontana la vecchiaia. Probabilmente in una fase pre-yogica e pre-tantrica l’immortalità e la felicità sarebbero state ricercate in una pozione di origine vegetale e non metallica.
Il padre dell’Alchimia indiana è considerato Nagarjuna (150-250), ritenuto l’autore di alcuni testi alchemici quali il trattato di magia Kaksaputa Tantra, quello sul Mercurio Rasendramangalam e il Susruta Samhita.
Il migliore esempio di un testo basato su questa scienza è il Vaishashik Darshana di Kanad (vissuto intorno al 600), che descrisse una teoria atomica circa un secolo prima di Democrito (460 a.C.-360 a.C.).
ALCHIMIA
1. LA PERFEZIONE DEI METALLI
L' ALCHIMIA DEI METALLI
L' idea che esistano metalli imperfetti e metalli perfetti è legata alla constatazione del fatto che, dei sette metalli classificati sin dall' antichità, cinque (piombo, ferro, stagno, rame, mercurio) sono soggetti alla corruzione, mentre due (argento, oro) sono incorruttibili, cioè non soggetti al decadimento fisico prodotto dal tempo. La spiegazione di questa differenza viene tentata fin dai tempi più antichi, nell' ambito della cultura metallurgica studiata in relazione all' alchimia da M. Eliade, e si fonda su una concezione di carattere vitalistico per cui i metalli sono (come) embrioni, di cui è gravido il ventre della terra, e la maggiore o minore perfezione dipende dallo stato di maturità da essi raggiunto. Solo l' argento e l' oro sarebbero così metalli completamente formati (paragonabili al feto al termine di una gravidanza regolare). L' abbinamento fra i metalli e i pianeti, di tradizione antichissima (risale, si ritiene, alla cultura babilonese), è all' origine della simbologia di cui gli alchimisti si servivano, e rafforzò questa lettura gerarchizzante delle caratteristiche pratiche dei metalli. L' abbinamento dell' oro e dell' argento col sole e con la luna (con i cui nomi vengono spesso indicati nella letteratura alchemica), rafforzò il loro impatto immaginale sulla vita umana, aprendo la strada a quello che sarebbe stato lo sviluppo dell' idea di oro potabile. Tuttavia stabilire che i metalli si collocano sui diversi gradini di una scala di perfezione non significa ancora affermare la loro possibilità di accedere al gradino più alto. Perché sia possibile pensare questa possibilità è necessaria una teoria dei metalli che, garantendone l' omogeneità strutturale, permetta di pensarli come stadi diversi di un' unica specie: solo su questa base, infatti, è possibile concepire l' idea della trasmutazione. Ben presto, però, l'idea che sia possibile produrre la perfezione dei metalli dà luogo all'idea dell'agente concreto di tale perfezione, l'elixir, mentre il manifestarsi di tale perfezione nell'oro ripropone il richiamo, già presente nell'alchimia ellenistica, ad una salvezza di cui l'opus alchemico sarebbe assieme metafora e veicolo. La definizione di alchimia pertanto si arricchisce, ma anche si fa assai più complessa.
2. LA TEORIA DEI METALLI
Il tentativo di dare sistemazione teorica alle osservazioni risultanti dalle pratiche estrattive e metallurgiche dell' antichità sfociò in una teoria della formazione dei metalli nelle miniere che aveva sullo sfondo la dottrina, di origine presocratica, della formazione di tutte le cose concrete (mixtum) dai quattro elementi, che avrebbe invece caratterizzato la più generale teoria della materia alchemica. Si ritenne, infatti, che i metalli si formassero per la congelazione, nel ventre della terra, di due vapori di origine elementare: caldo/secco, identificato con la componente sulphur; freddo/umido, identificato col nome di mercurius. La loro composizione secondo proporzioni diverse darebbe origine alla diversità dei singoli metalli. Tale teoria, soltanto accennata da Aristotele nelle Meteore, venne sviluppata da autori posteriori ed in particolare da Avicenna , il cui scritto meteorologico, De congelatione et conglutinatione lapidum, tradotto nel XII secolo venne ritenuto inizialmente opera dello stesso Aristotele. Questa dottrina dava un fondamento teoretico alla convinzione tradizionale che i metalli fossero come embrioni a stadi diversi di maturazione, che giustificava la ricerca della produzione alchemica della perfezione dei metalli. Infatti, essa rendeva comprensibile la prassi operativa fondata sulla constatazione che è possibile, mediante l' uso del fuoco, far perdere ai metalli le caratteristiche fisiche che li connotano, riducendoli in uno stato liquido considerato la loro materia prima attraverso il quale, con opportune tecniche di lavorazione (amalgami) si possono ottenere nuovi corpi metallici (in realtà leghe) con diverse caratteristiche fisiche (colore, lucentezza, peso, resistenza alla corrosione). Tali tecniche erano il portato di secoli di metallurgia tradizionale, e questo fa sì che testi di alchimia come quello di Geber latino costituscano anche una documentazione preziosa della metallurgia antica e medievale. L' applicazione di esse a fini alchemici mira a produrre leghe metalliche che abbiano alcune caratteristiche fisiche dell' oro (in particolare il colore e la resistenza alla corrosione), attraverso la produzione di agenti capaci di tingere quantità rilevanti di metalli, preparati attraverso serie più o meno standard di operazioni. Per gli alchimisti che lavorano sulla base della teoria zolfo-mercurio permane tuttavia un problema di fondo: la formazione dei metalli nelle miniere è infatti considerata opera del freddo (congelazione), mentre l' alchimista ha a sua disposizione per produrre tale effetto il calore del fuoco (cottura). Da tale problema, evidente ad esempio nella riflessione mineralogica di Alberto Magno, prende il via un settore importante della riflessione sul rapporto arte-natura. La teoria dei metalli, espressa nell'alchimia metallurgica in termini che possiamo considerare proto-chimici, si presta inoltre ad una formulazione in linguaggio allegorico, che inizia a diffondesi in testi del tardo Duecento e soprattutto del secolo successivo e che costituisce uno dei fattori di svolta e di complessificazione della tradizione alchemica, accentuandone il legame con la problematica religiosa della salvezza.
3. LA TRASMUTAZIONE
La trasformazione dei metalli vili in oro avviene attraverso una serie di operazioni che conducono al risultato voluto, definito appunto trasmutazione. A differenza della "trasformazione", la "trasmutazione" implica un mutamento totale della sostanza, nell' ordine della perfezione. La possibilità di ottenere l' oro a partire dai metalli soggetti a corruzione è fondata sulla teoria dei metallidi origine antica, e sull' idea che attraverso un' attività operativa l' alchimista possa ottenere la perfezione dei metalli. Il processo messo in atto mira a riportare il metallo prescelto allo stato liquido, in modo da poterne riequilibrare la struttura mediante l' aggiunta o la sottrazione di quella delle due esalazioni di base (suplhur-mercurius), di cui sia carente o eccedente rispetto al metallo perfetto. Ciò dà luogo alla preparazione di veri e propri amalgami e all' ottenimento di leghe metalliche che possono avere caratteristiche fisiche (colore, peso, resistenza alla corruzione) che le assimilano all' oro. La trasmutazione dei metalli viene considerata come uno dei due effetti ottenibili attraverso l' uso (proiezione) dell' elixir prodotto alchemicamente o della quintessenza ottenuta mediante la distillazione; nella letteratura alchemica allegorica il processo della trasmutazione è spesso rivestito da immagini della reintegrazione di un corpo che era stato smembrato e "messo a morte". Tutti i processi di trasmutazione sono comunque sintetizzabili con la formula "solve et coagula" (dissolvi e solidifica), intesi come i due poli di ogni tipo di operatività alchemica.
4. OPERAZIONI
Il processo della trasmutazione avviene attraverso una serie di operazioni compiute utilizzando il fuoco su sostanze isolate dall' ambiente circostante in quanto sono racchiuse in vasi sigillati. Le operazioni producono i cambiamenti dello stato fisico delle sostanze poste nel vaso; se ne conoscono variazioni innumerevoli. Come esempio utilizziamo le definizioni che ne vengono date nella Summa perfectionis magisterii di Geber latino. La sublimazione "monda gli spiriti dalla terrosità", cioè separa la parte volatile dalla parte solida. La distillazione "è l' ascesa dei vapori acquei nel vaso". La calcinazione è "riduzione in polvere di una sostanza secca mediante il fuoco, causata dalla sottrazione dell' umidità che tiene insieme le parti". La dissoluzione è "la riduzione di una sostanza secca in liquido". La coagulazione è "la solidificazione di una sostanza liquida per sottrazione dell' umidità". La fissazione "è il trattamento (solidificante) delle sostanze volatili". La cerazione è "la mollificazione che tende alla liquefazione di una sostanza dura che non fonde". In alcuni testi, come il Codicillus dello pseudo-Raimondo Lullo, che accentuano l' aspetto teorico del sapere alchemico e tentano perciò di definirne in maniera sistematica la struttura, le operazioni vengono raggruppate in quattro fasi fondamentali o regimi, cui corrispondono mutamenti nel colore delle sostanze: solutio (dissoluzione), ablutio (purificazione), congelatio (solidificazione), fixatio (indurimento).
5. ORO
Scopo dichiarato dell'alchimia metallurgica era la trasmutazione dei metalli vili in oro, ottenuta attraverso un processo che si riteneva in grado di produrre la perfezione dei metalli. La differenza fondamentale tra l' oro alchemico, ottenuto artificialmente, e l' oro naturale, risiede nella capacità attribuita al primo di moltiplicarsi, ovvero di conferire le proprie caratteristiche a quantità sempre maggiori di un metallo non nobile sul quale (dopo adeguata preparazione di esso) viene proiettato, o che può tingere. Solo il metallo trasmutato è a sua volta capace di trasmutare, e questa concezione alimenta la convinzione, espressa da Ruggero Bacone, che l' oro alchemico sia superiore a quello naturale - tema di fondo del dibattito arte-natura. Gli alchimisti non ignoravano, infatti, che fra l' oro prodotto alchemicamente e quello estratto dalle miniere permangono delle differenze fisiche: le tecniche docimastiche più comuni (coppellazione, crogiuolo) erano ben conosciute; sulla contrapposizione fra l' oro alchemico e quello naturale si basò la polemica contro gli alchimisti falsari, ufficializzata con la bolla "Spondent quas non exhibent" dal papa Giovanni XXII (1319). Non mancano peraltro pareri di famosi giuristi convinti che l' alchimia potesse ottenere un oro identico a quello naturale. Il nodo del problema risiede, evidentemente, nella definizione delle caratteristiche essenziali dell' oro, sulla quale tuttavia né i documenti alchemici né quelli giuridici si pronunciano esplicitamente.
6. L' ALCHIMIA NELLE CORTI MEDIEVALI
Il primo testo d' alchimia tradotto in latino nel 1144, il Testamento di Morieno, presentava l' insegnamento del sapiente eremita ad un sovrano, l' arabo Calid, ed il prologo del traduttore Roberto di Chester metteva in evidenza la ricaduta sociale dell' opera solitaria dell' alchimista, parlando della quantità d' oro che annualmente egli inviava a Gerusalemme. La lettura che inizialmente gli occidentali dettero dell' alchimia come arte della trasmutazione metallica era del resto comprensibilmente destinata a trovare riscontro nella preoccupazione dei sovrani per l' approvvigionamento di metalli preziosi essenziali per battere moneta. Troviamo non a caso alchimisti già alla corte di Federico II (Michele Scoto, il celebre intellettuale della corte federiciana, scrisse tra l'altro un trattato d'alchimia), mentre le ricerche sull' oro potabile hanno radici nell' interesse assai vivace della Curia papale per i temi legati alla prolongevità, condivisi dai sovrani catalani e napoletani e si diffondono col tema della quintessenza nell'ambito della tradizione spirituale e profetica del tardo Medioevo. Vari documenti della corte inglese dei primi decenni del '300 mostrano con chiarezza l' interesse di questi sovrani per la trasmutazione, destinato ad espandersi ancora di più in età rinascimentale. Ma il valore attribuito al segreto della fabbricazione dell' oro, che si supponeva gli alchimisti possedessero, poteva essere un' arma a doppio taglio nei loro confronti. Infatti, quando gli esperimenti non giungevano a buon fine o l' oro prodotto si rivelava falso, gli alchimisti cadevano rapidamente in disgrazia. A questo tema si collegano le discussioni dei giuristi circa la possibilità di battere moneta con l' oro alchemico, e la creazione di leggende riguardanti i rapporti degli alchimisti con i sovrani (come nella leggenda di Lullo) o con le comunità cittadine (come nella leggenda di Nicolas Flamel). Nei racconti leggendari si può in genere cogliere un divario fra la finalità dell' alchimista e quelle del sovrano, originato da un fraintendimento del fare alchemico, che non è orientato da valori mercantili o economici, ma ha il valore di un contributo creativo alla salvezza del mondo, ed è quindi impregnato nelle intenzioni degli alchimisti di valori etico-religiosi. Il rapporto fra gli alchimisti e le corti si mantenne ben oltre l' età medievale (si pensi solo al ben noto esempio della corte praghese sotto Rodolfo II), ma fin dall' inizio si collega a temi quali quello del continuo viaggiare degli alchimisti, del loro operare segreto, della cautela comunicativa alla quale invitano i loro testi, anche mediante l' uso del linguaggio allegorico e di studiate strategie retoriche. La coscienza del potere conferito dalla capacità di interagire in maniera efficace con la realtà materiale è anche consapevolezza del rischio insito in una diffusione imprudente di questo sapere. La corte, più che l' aula universitaria, sembra un ambiente adatto ad un lavoro solitario e segreto dall' ambizione vastissima: il laboratorio alchemico di cui si è trovato traccia nella parte più interna della torre centrale del palazzo reale di Maiorca è l' emblema architettonico del paradosso di un lavoro individuale e segreto che si propone di aumentare infinitamente il potere di chi può goderne i frutti.
7. ELIXIR
Nei testi alchemici tradotti dall'arabo il prodotto dell'opus viene talvolta denominato elixir, termine la cui etimologia è incerta. Probabilmente deriva da una parola greca, che compare ad es. negli scritti di Zosimo ad indicare la polvere di proiezione, ovvero quella sostanza che tinge il metallo conferendogli le qualità sensibili dell'oro e realizzando così il fine della trasmutazione. La perfezione dei metalli, che si ottiene proiettando l'elixir, veicola tuttavia un'idea più ampia di perfezione della materia che nei testi ellenistici era stata talvolta considerata come metafora o strumento della salvezza spirituale, mentre nell'alchimia islamica era stata accostata ad idee di provenienza orientale, cinese (taoista) e/o indiana, sulla immortalità materiale, come ha mostrato nei suoi studi Joseph Needham. Il recupero di tutta l'ampiezza di significato di questo termine, enigmatico per gli alchimisti latini come molte delle altre parole-chiave dell'alchimia, avvenne lentamente. Infatti solo agli inizi del XIV secolo troviamo dei testi d'alchimia (in special modo quelli attribuiti a Raimondo Lullo e ad Arnaldo da Villanova) che esplicitamente mettono al centro della propria ricerca l'elixir, inteso come agente della perfezione materiale sia dei metalli che del corpo umano, in quanto capace di riequilibrare perfettamente la complessione di qualsiasi corpo elementare con cui viene posto a contatto. Fra le sostanze impiegate per ottenere l'elixir figurano, oltre ai metalli e ai minerali, materiali di origine organica, che già nel De anima in arte alchemiae dello Pseudo-Avicenna entravano nella sua composizione col nome di 'pietra animale' e 'pietra vegetale', assieme alla più ovvia 'pietra minerale'. Il Testamento di Morieno, del resto, diceva chiaramente che il lapis (altro termine con cui l'agente della trasmutazione viene definito nei testi) non è una pietra in senso letterale. Inoltre, l'oro stesso è utilizzato nella composizione dell'elixir come 'seme' della perfezione che dev'essere ottenuta in maniera intenzionale e in quantità illimitata, mentre in natura la sua presenza è scarsa e casuale. Per tutte queste ragioni l'idea di elixir viene a coincidere con quella di un farmaco perfettissimo, e la possibilità di ottenerlo si basa su due innovazioni nella pratica e nella dottrina alchemica che postulano la possibilità di un regresso alla materia prima più radicale di quello reso possibile dalle operazioni dell'alchimia metallurgica: da una parte la tecnica della distillazione, che si ritiene renda possibile scomporre i corpi materiali nei quattro elementi dell'origine; dall'altra la teoria della materia elaborata per la prima volta da Ruggero Bacone e ripresa dagli alchimisti del primo '300. Il confine fra la distillazione alchemia e le ricerche sull'uso faramcologico del distillato di vino, che si stavano diffondendo negli ambienti medici del tardo Duecento, è piuttosto fluttuante. La vera e propria fusione della distillazione farmacologica con la dottrina alchemica dell'elixir avvenne però solo ad opera di Giovanni da Rupescissa, che nel suo Liber de consideratione quintae essentiae (1351ca.) descrisse l'alcol del vino ed i modi per ottenerlo e per confezionare con esso medicine potentissime, fra cui l'oro potabile, dandogli il nome di quintessenza.
8. TEORIA ALCHEMICA DELLA MATERIA
Fra i testi arabi d'alchimia tradotti nel XII e XIII secolo ce n'erano alcuni, attribuiti direttamente o indirettamente ad Ermete ed al suo insegnamento, che veicolavano oltre ad istruzioni operative per ottenere la perfezione dei metalli e/o l'elixir anche dottrine cosmologiche e fisiche di evidente impianto non aristotelico, nelle quali la possibilità di ottenere la perfezione della materia a partire dalla manipolazione di sostanze concrete trovava il fondamento della sua possibilità. La Tabula smaragdina, che si apre con l'affermazione che 'ciò che è in alto è come ciò che è in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto per compiere i miracoli della realtà che è una', continuava poi mostrando, attraverso un linguaggio aforistico e immaginoso, ma profondamente diverso dal linguaggio allegorico adottato nell'alchimia spirituale, l'equivalenza fra l'opus alchemico della distillazione e la creazione del mondo. Nella Turba philosophorum un gruppo di filosofi alchimisti, i cui nomi sono stati identificati perlopiù con quelli di filosofi greci presocratici, narrano nei primi dieci capitoli, o 'discorsi' una cosmogonia dai caratteri di macrodistillazione che introduce alla rimanente parte del testo (di gran lunga la più ampia), che tratta delle operazioni di laboratorio dell'alchimia. La materia prima dà origine, attraverso un moto di rarefazione e condensazione, ai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco), che si uniscono in varie proporzioni a formare tutte le cose composte, che sono perciò soggette a generazione e corruzione: e l'alchimista, ripercorrendo le vie della creazione del mondo, può mirare alla creazione di un composto elementare perfettamente equilibrato e perciò incorruttibile e diffusore di incorruttibilità: l'elixir. Nell'Occidente latino Ruggero Bacone fu il primo filosofo ad accogliere questo modello del cosmo, parallelo a quello descritto o presupposto nella letteratura ermetica (magica ed astrologica) di origine orientale; Bacone, che ben conosceva anche la fisica aristotelica, recepì pertanto l'alchimia come una filosofia generale della natura, definendola come una scienza duplice, speculativa e operativa. Mentre l'alchimia operativa corrispondeva alle pratiche della trasmutazione, l'alchimia speculativa era per Bacone una dottrina generale, la 'scienza della generazione di tutte le cose', che egli vedeva come un modello di spiegazione della realtà materiale parallelo a quello della fisica aristotelica, e non ad essa subordinata, come pensavano quanti concepivano la dottrina alchemica come una teoria dei metalli che copriva un ambito lasciato scoperto da Aristotele. L'alchimia, secondo Bacone, copre lo stesso ambito fenomenico della filosofia naturale e della medicina, anche se le tre discipline parlano linguaggi diversi. Su questa base, stimolato anche evidentemente dalle convergenze possibili fra le ricerche sulla prolongevità tanto stimate alla Curia papale e quelle alchemiche, di cui scrisse in diversi luoghi della sua opera, Bacone gettò le basi per gli sviluppi anche teoretici dell'alchimia dell'elixir, nella quale la cosmologia e la fisica alchemica vennero innestate sulla concezione platonica della yle, che è nel Timeo il principio materiale informe di tutta la realtà creata dal Demiurgo. Non meraviglia, pertanto, che nell'alchimia di ascendenza baconiana l'opus venga assimilato alla creazione, riprendendo anche uno spunto presente nel Testamento di Morieno, ed il rapporto arte-natura venga articolato secondo modalità complesse. D'altra parte, la teoria ermetico-baconiana della materia assumeva che la perfezione materiale potesse venire ottenuta a partire da qualsiasi sostanza, poiché tutte le cose materiali sono composte dei quattro elementi nei quali la prima materia si articola e dunque da tutte si possono ottenere gli 'ingredienti' dell'elixir: Bacone accettò, sulla scorta del De anima in arte alchemiae attribuito ad Avicenna, la possibilità che l'elixir venisse composto non di sole sostanze minerali e metalliche, ma anche di sostanze organiche, vegetali e/o animali, dando origine ad una linea di ricerca che permise, o facilitò, la convergenza di farmacologia e alchimia nella dottrina della quintessenza.
9. QUINTESSENZA
L' idea che oltre ai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) che compongono la materia sublunare e che sono soggetti al moto di generazione e corruzione esistesse una quinta sostanza incorruttibile era contenuta nel De caelo aristotelico, ed era nota nel Medioevo anche prima che quest'opera venisse tradotta e introdotta nella cultura scolastica fra XII e XIII secolo. Tuttavia la quinta sostanza, che Aristotele aveva chiamato etere, era considerata materia dei soli corpi celesti, dei quali garantiva appunto l'incorruttibilità, sottolineandone il distacco incolmabile dal mondo sublunare. Attraverso alcuni fondamentali testi ermetici ed alchemici tradotti dall'arabo, in particolare la Tabula smaragdina e la Turba philosophorum, gli alchimisti ed i filosofi latini vennero tuttavia a conoscenza di una diversa cosmologia, forse di origine presocratica, incentrata sulla convertibilità cosmica dell'alto e del basso e su una teoria della materia che postulava l'origine della realtà come ordinamento di una sostanza corporea analoga alla yle del Timeo platonico. Tale sostanza era pensata come una massa materiale omogenea, che attraverso processi di rarefazione e condensazione aveva dato vita ai quattro elementi della tradizione empedoclea. In questo contesto ogni realtà materiale poteva venir pensata come trasformabile in qualsiasi altra, poiché l'opus alchemico permetteva di raggiungere proprio questa materia prima. Non si sa ancora chi abbia formulato l'idea della coincidenza della prima materia del cosmo con quella di una quintessenza che, a differenza di quella aristotelica, non si trova in un mondo separato da quello degli elementi ma costituisce il nucleo generativo di essi: Roberto Grossatesta verso il 1220 attribuì genericamente questa idea agli alchimisti, ma una prima elaborazione cosmologica e alchemica si trova soltanto nel Testamentum pseudolulliano, circa un secolo dopo. Sulla base di idee formulate già da Ruggero Bacone, diventava così possibile concepire l'opus alchemico come una scomposizione della realtà materiale composita che arrivava fino al ritrovamento della materia prima della creazione, non identificabile con nessuno dei quattro elementi, ma matrice di tutti e di ciascuno, poiché da essa si potevano ottenere tutti e quattro, e poteva esprimerne tutte le qualità, anche se contraddittorie tra loro: per esempio bruciare (fuoco) ed essere liquida (acqua) nello stesso tempo. Ma un' acqua ardente esisteva: era il prodotto della distillazione del vino, che aveva cominciato ad interessare gli ambienti medici occidentali almeno dalla metà del '200. Fra i primi che ne scrissero, si annoverano Taddeo Alderotti e Arnaldo da Villanova. E proprio da un ambiente vicino a quest'ultimo, sia geograficamente (Catalogna, Francia del Sud) sia ideologicamente (medici e fraticelli spirituali), provengono il già rammentato Testamentum e l'elaborazione di Giovanni da Rupescissa. Nel De consideratione quintae essentiae (1351 ca.), scritto durante un periodo di prigionia ad Avignone dovuta alle sue attività profetiche e spirituali, il francescano Giovanni da Rupescissa esalta le qualità del prodotto della distillazione del vino, identificandolo con l'elixir, sostanza incorruttibile prodotta dall'artificio umano, che dona incorruttibilità a tutto ciò con cui viene messa in contatto. Chiamandolo per la prima volta quintessenza e 'coelum nostrum' Giovanni ne esplicita il carattere di rottura con il taglio cosmologico fra cielo e terra che la fisica aristotelica e scolastica sosteneva. Inoltre egli insegna a 'fissare le nostre stelle nel nostro cielo', e cioè a distillare infusi di erbe e sostanze medicinali varie per ottenere farmaci in grado di guarire tendenzialmente tutte le malattie che possono affliggere il corpo umano. Fra queste ne propone una principale, il 'sole', che si ottiene distillando del vino in cui barrette o foglie o limatura d'oro sono state infuse: in questo modo Giovanni insegna per primo la preparazione alchemica di un farmaco che diventerà celebre e ricercatissimo per tutta l'età rinascimentale: l'oro potabile.
10.DISTILLAZIONE
Fra le operazioni alchemiche, la distillazione venne occupando un ruolo centrale presso quegli alchimisti che, seguaci della teoria della materia elaborata dal filosofo Ruggero Bacone, ritennero possibile ottenere la materia prima di tutte le cose attraverso la separazione delle componenti elementari delle sostanze di partenza. Non si trattava, cioè, di ottenere semplicemente la sostanza liquida (mercurio) e quella urente (zolfo) che, secondo la teoria dei metalli posta alla base dell'alchimia metallurgica, erano le due esalazioni che componevano i metalli, costituite a loro volta dai quattro elementi. Per Bacone, e poi per lo pseudo-Raimondo Lullo, come negli scritti attribuiti ad Arnaldo da Villanova, in quelli di Giovanni Dastin e di Giovanni da Rupescissa, il primo stadio dell'opus alchemico doveva consistere nella separazione dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco, segnalati dai quattro diversi colori) che costituivano, mescolati in proporzioni diverse, tutte le realtà: questa separazione era ottenuta attraverso un uso sapiente del fuoco che, in fasi successive, faceva salire verso l'alto, nel vaso, dapprima la parte più volatile della sostanza prescelta (parte che veniva equiparata all'elemento più leggero, ignis/fuoco), poi successivamente le parti considerate rispettivamente aria e acqua, mentre il residuo che permaneva sul fondo del vaso era denominato terra. Si vede, pertanto, che sotto il termine di 'distillazione' gli alchimisti medievali potevano comprendere anche operazioni che oggi non sono così definite (oggi infatti si riserva l'uso di questo termine alla separazione in un liquido delle componenti di volatilità differente). Se la distillazione avveniva in un vaso dotato di un canale o becco per lasciar uscire le sostanze 'elevate', cioè volatilizzate, si ottenevano in successione quattro prodotti, identificati ciascuno con un elemento (la parte ignea era anche definita oleum), che potevano essere ricombinati in equilibrio perfetto per ottenere un corpo non più corruttibile, il lapis o elixir. In effetti, la difficoltà maggiore nel distillare era legata proprio al momento della raccolta del prodotto, e solo dopo che varie tecniche vennero messe alla prova per poter raffreddare il becco dell'alambicco si riuscì ad ottenere il distillato di sostanze come il vino, o altre di origine vegetale. Questa tecnica venne usata in ambito farmacologico prima che alchemico, come mostrano gli scritti di Taddeo Alderotti e Arnaldo da Villanova, e costituì, insieme alla problematica del prolungamento della vita, lo stimolo maggiore ad una convergenza della ricerca alchemica con quella farmacologica, sulla cui base l'alchimia dell'elixir avrebbe suscitato un duraturo interesse presso i medici fino ben dentro l'età rinascimentale. Se però si effettuava una serie ripetuta di distillazioni in un vaso sigillato ermeticamente, si aveva la vera e propria distillazione alchemica: quella cioè in cui la materia prima, ottenuta attraverso la dissoluzione dei legami che tenevano assieme il composto elementare, si separava nelle sue componenti e si congiungeva ripetutamente (per un numero di volte che era indicato con numeri simboleggianti la totalità, come sette, dieci, cento e i suoi multipli), fino a trasformarsi, senza aggiunta né sottrazione di sostanza, nella propria perfezione. Questa era propriamente la quintessenza, per il cui ottenimento sono raffigurati nei manoscritti vasi di tipo particolarissimo, come il 'pellicano' o il 'vaso doppio', in cui il canale d'uscita sfocia nel corpo del vaso stesso. E poiché questo processo aveva un equivalente spirituale nel tema del sacrificio che produce la reintegrazione, a questi vasi sono stati attribuiti, nelle interpretazioni allegoriche dell'alchimia che fanno pernio sul tema della salvezza, significati attinenti la chiusura del lavoro interiore.
11.ORO POTABILE
Le virtù medicinali dell'oro, tramandate da una tradizione antichissima, erano confermate dall'autorità del 'principe dei medici', Avicenna, il cui Canone costituì, a partire dal XIII secolo, il testo di riferimento più autorevole nell'insegnamento della medicina. Quando cominciò a diffondersi la preparazione dei vini medicinali (infusi di vino con sostanze medicamentose) non sorprende perciò che si cominciasse a proporre la ricetta di un vino 'aurificato', in cui cioè era stata tenuta in infusione una barretta d'oro, o foglie o limatura dello stesso metallo prezioso: fra i primi a scriverne fu Arnaldo da Villanova, medico di sovrani e pontefici, ma anche autore - presunto - di scritti alchemici. Questa preparazione poteva sostituire l'usanza di tenere dell'oro in bocca, o comunque a contatto del corpo, per assorbirne appunto le virtù medicamentose, usanza che pare fosse diffusa presso le corti, in particolare alla Curia papale, dove l'attenzione alla preservazione della salute e della 'forma fisica' aveva raggiunto punte rilevanti nella seconda metà del '200. Appare scontato, perciò, che il passo successivo nella ricerca farmacologica, quello che vede Giovanni da Rupescissa identificare il prodotto della distillazione del vino con l'elixir alchemico fonte di perfezione materiale e agente del prolungamento della vita, provocasse un raffinamento anche nelle tecniche di preparazione dell'oro medicinale. E' anzi probabile che proprio il nesso fra quintessenza ed elixir alchemico abbia favorito l'emergere, per una affinità o prossimità di campo semantico, dell'idea di una quintessenza dell'oro che Giovanni insegna a preparare con metodi, per la verità, non molto dissimili da quelli attestati nella letteratura medica più tradizionale del tempo. L'oro da utilizzare dev'essere però per Giovanni il 'lapis' prodotto alchemicamente: non quindi il metallo prezioso quale si trova in natura, ma neppure quello ottenuto mediante l'uso di sostanze corrosive (cioè con le tecniche dell'alchimia metallurgica); c'è una scelta ben precisa di un tipo di operatività alchemica, che collega Giovanni a Ruggero Bacone attraverso gli scritti pseudolulliani e arnaldiani - ma il problema se sia migliore l'oro naturale o quello artificiale non sarà con ciò definitivamente risolto. La preparazione consiste in tecniche come il surriscaldamento di barre o foglie o la calcinazione di polvere d'oro, la sua infusione in alcol di vino e la successiva distillazione che dev'essere iterata molte volte per 'estrarre' dall'oro le sue virtù medicinali e passarle, potenziate, al veicolo alcolico. Il farmaco così ottenuto era considerato una panacea; ancora di più, la sua assunzione garantiva la preservazione del corpo dalla corruzione, e dunque dall'invecchiamento, analogamente a quanto avveniva nell'alchimia taoista, in cui il farmaco alchemico garantiva addirittura l'immortalità materiale.
12.LINGUAGGIO ALLEGORICO
Fin dai primi scritti tradotti dall'arabo l'alchimia latina si trovò di fronte ad un uso rilevante di termini allegorici, forse talvolta semplici soprannomi di sostanze e processi, ma certamente tali da ravvivare il coinvolgimento affettivo e immaginale che, secondo G. Bachelard, gli uomini provano al primo contatto con la realtà oscura delle trasformazioni della materia. Testi come la Tabula chemica di Ibn Umail (Senior Zadith), in cui si introduce il lettore in una camera segreta con le pareti istoriate di dipinti simbolici, rafforzano inoltre l'impressione di trovarsi di fronte ad un sapere segreto, come del resto lo stesso Ruggero Bacone qualifica quello alchemico, di cui dev'essere fornita la 'chiave' sia attraverso la spiegazione dei termini più enigmatici, sia attraverso il parallelismo istituito fra la teoria della materia alchemica e quelle della fisica e della medicina, ma che va tramandato con precauzione affinché non cada nelle mani di chi lo utilizzerebbe in maniera pericolosa. Lo stesso Morieno dichiara, nel suo Testamento, che gli antichi trasmisero le dottrine alchemiche sotto un velo linguistico non per avarizia nei confronti dei posteri, ma per non diffonderne indebitamente il nocciolo - il segreto della perfezione della materia - riservato ai discepoli iniziati. Nella tradizione latina del Duecento, tuttavia, sembra prevalere l'uso di un linguaggio descrittivo che trova le sue coordinate nella teoria dei metalli d'impostazione aristotelica, e le restrizioni imposte alla comunicazione sembrano più simili a quelle legate ai segreti artigianali (frequente l'uso di locuzioni del tipo: l'oro nostro, il mercurio che tu sai ecc.). Fra la fine del XIII secolo e la prima metà del successivo comincia ad acquistare spazio una letteratura alchemica visionaria, che si diffonderà sempre di più con il tempo, e che fa largo uso di allegorie per descrivere le operazioni e il prodotto finale dell'opus, sia esso l'elixir o l'oro. La materia prima viene paragonata al corpo morto del re nella Visione di Giovanni Dastin; l'elixir significa il Cristo ed insieme ne è significato negli Exempla philosophorum attribuiti ad Arnaldo da Villanova, diventando simbolo della salvezza ottenuta attraverso il sacrificio. Fra le ragioni addotte per questo cambiamento di linguaggio si considera centrale il processo di occultamento cui l'alchimia venne lentamente assoggettata dopo che la discussione scolastica su di essa (quaestio de alchimia) le negò l'inserimento nel curriculum istituzionale, favorendone la condanna ripetuta da parte delle autorità ecclesiastiche (Giovanni XXII° all'inizio del '300, l'Inquisitore Nicola Eymerich alla fine). Tuttavia la tradizione degli scritti non allegorici non venne completamente soppiantata: si ebbe piuttosto, alla fine del Medioevo, uno sdoppiarsi della ricerca alchemica, in ricerca di laboratorio tesa alla produzione di oro, elixir, quintessenza, oro potabile, farmaci vari, e in ricerca spirituale di salvezza e reintegrazione cosmo-antropologica; due filoni che procedettero ora intrecciati, ora paralleli lungo tutta la tradizione alchemico-ermetica post-medievale.
13.REINTEGRAZIONE
Negli scritti a carattere allegorico e visionario il nucleo centrale della ricerca alchemica è quello dell'ottenimento della salvezza, e ciò sembra permettere un'interpretazione dell'opus come una pura e semplice metafora del perfezionamento spirituale. Ma ciò che non dobbiamo dimenticare è la matrice operativa dell'alchimia ed il suo carattere di fare-sapere tendente alla perfezione della materia. Lo stesso richiamo al Cristo, considerato centrale in tutte le interpretazioni spirituali dell'alchimia, dev'essere inteso come una rilettura 'forte' del tema dell'Incarnazione, ovvero della coniunctio dell'elemento divino (spirituale) con l'umano (materiale/naturale). Su questo aspetto dell'alchimia si è soffermato C.G.Jung, in particolare nel Mysterium Coniunctionis, dove la quaternità alchemica degli elementi è messa a confronto con il simbolo cristiano della totalità, la Trinità divina, rilevando che l'aspetto che in quest'ultima è assente è la terra, cioè la materia. Gli alchimisti, in quest'ottica, hanno tentato una reintegrazione della realtà materiale nell'opera della salvezza, espressa simbolicamente nella produzione della perfezione metallica, con l'ottenimento dell'oro, e resa possibile dalla creazione dell'elixir, che è insieme agente della trasmutazione metallica e della salute e prolongevità degli esseri umani. Si spiega così perché l'alchimia dell'elixir ha potuto essere inserita da alcuni autori del primo '300 in una prospettiva escatologica di rinnovamento del mondo e dell'umanita, dell'uno attraverso l'altra e viceversa, che consente di comprendere meglio la diffusione dell' alchimia nella tradizione spirituale tardo-medievale. La reintegrazione, che riguarda insieme il cosmo e l'umanità, non può essere però ottenuta se non a partire da una pratica, che negli scritti a carattere allegorico viene descritta come sacrificio di una figura perlopiù umana. La dissoluzione prodotta dall'artefice alchimista viene per questo tramite collegata al motivo simbolico dello smembramento del dio presente din dai più antichi miti alla letteratura gnostica, pur conservando la peculiarità di lavoro sulla realtà materiale propria che è propria dell'opus.
14.SACRIFICIO
Nella Visione di Giovanni Dastin, uno dei più precoci scritti alchemici a carattere allegorico, la perfezione metallica viene ottenuta attraverso una complicata vicenda di messa a morte del 're' dei metalli, l'oro personificato, il quale addirittura scompare, surriscaldandosi e liquefacendosi, nel corpo della sposa per lui predisposta, riducendosi cioè alla materia prima in un processo che produce informità e nerezza (nigredo), come avviene nello stadio di dissolvimento dei composti materiali che precede la distillazione alchemica. Le successive operazioni che portano alla produzione dell'elixir sono indicate attraverso la narrazione delle vicende del re, dove i mutamenti di colore (dal nero al bianco, alla 'porpora regale') costituiscono i punti di contatto con le descrizioni contenute in testi non a carattere allegorico, per esempio il coevo Codicillus attribuito a Raimondo Lullo. Il sacrificio o mortificazione, tema già presente nell'ellenistica visione di Zosimo, consiste nella separazione del corpo dall'anima e nel loro successivo ricongiungimento (coniunctio) attraverso un'entità intermedia, lo spirito, raffigurato operativamente nella materia sottile o quintessenza che rigenera i corpi. Si evidenzia, in questo tema dello spirito, la profonda incompatibilità dell' alchimia con ogni forma di dualismo. La dicotomia corpo/anima costituisce infatti, per gli alchimisti, solo l'imperfetta realtà visibile, che dev'essere disintegrata per poi essere resa perfetta attraverso la produzione dello spirito, vero medio reale che rende stabile l'unione e dunque costituisce il fattore essenziale della reintegrazione cosmica e antropologica.
14.CONIUCTO
Il processo alchemico produce la perfezione della materia attraverso una serie di operazioni che mirano alla creazione di un medio capace di unire stabilmente il corpo (cioè la solidità propria della materia - per esempio dei metalli) e l'anima (cioè il carattere di incorruttibilità proprio della sostanza spirituale). Il medio, per essere tale, deve unire in sé gli opposti: l'oro opera questa congiunzione a livello dei metalli, ed è dunque il prodotto ricercato da quanti considerano l'alchimia una pratica a livello puramente metallurgico; l'elixir come agente materiale della perfezione di tutte le cose congiunge in sé il carattere immutabile della pietra (ecco perché si può anche definirlo lapis) con quello generativo della vita; la quintessenza appare come la manifestazione del principio unitivo vero e proprio, materia prima da cui tutta la realtà ha origine, ma raffinata e purificata in modo tale da manifestare il suo carattere di spirito - qualcosa di affine all'idea stoica di pneuma, come F.S.Taylor ha sottolineato; e l'oro potabile costituisce il farmaco sovrano, che unisce l'incorruttibilità del metallo e l'assimilabilità del nutrimento. Nonostante i tentativi anche molti ardimentosi di definire e spiegare l'idea alchemica di coniunctio attraverso l'uso di un linguaggio descrittivo e/o filosofico, il carattere paradossale di questo obiettivo a tutti i livelli venne preferibilmente espresso dagli alchimisti attraverso l'uso di un linguaggio allegorico, che arriva fino a coincidere con l'immaginario biblico del Cantico dei Cantici nell'Aurora consurgens attribuita a Tommaso d'Aquino, o più spesso si serve di figure in parte risalenti alla tradizione alchemica ellenistica (l'ouroboros, il serpente che si racchiude a cerchio su se stesso tenendo la coda con la bocca) o islamica (l'uccello con le ali avvinghiato all'uccello senza ali), in parte ad una simbologia sessuale (le nozze) che può anche sfociare nell'immaginario mostruoso (l'ermafrodito). Nella tradizione post-medievale la ricerca espressiva legata alle immagini della coniunctio si dilatò a dismisura, dando origine ad un'amplissima iconografia alchemica nella quale C.G.Jung ed altri psicologi del profondo hanno ravvisato materiale raffrontabile con quello onirico prodotto dai pazienti durante la psicoterapia.
15.LA PERFEZIONE DELLA MATERIA
L' alchimia è stata definita da H. Sheppard, su base comparatistica, "l' arte di liberare parti del Cosmo dall' esistenza temporale e di raggiungere la perfezione che per i metalli è l' oro, per l' uomo la longevità, poi l' immortalità e infine la redenzione". Gli approcci attuali all' alchimia sono molteplici: storico-critico, storico-religioso, comparatistico, psicologico, ermeneutico, ermetico tradizionale. Il percorso che qui seguiremo mira a individuare la struttura del sapere alchemico in un momento-chiave della sua storia, i due secoli che seguirono la sua introduzione nella cultura medievale mediante traduzioni di testi arabi, la prima delle quali fu quella del Testamento di Morieno , effettuata nel 1144. In quest' epoca l' alchimia sviluppò tutti gli aspetti che ancora oggi la caratterizzano nella sua tradizione occidentale, interagendo con la cultura filosofica delle nascenti università. Alla metà del '300 questo processo era sostanzialmente concluso, contestualmente al chiudersi della possibilità di mantenere un dialogo aperto con la cultura filosofica come risultato del dibattito sull' alchimia (quaestio de alchimia). Nel momento del suo ingresso in occidente l' alchimia era stata accolta come una novità, sia perché non aveva una tradizione alle spalle, sia per la sua peculiare struttura epistemologica, nella quale la dottrina discende dalla prassi operativa, in un inedito nesso fare-sapere. Nei due secoli che prendiamo in considerazione, l' alchimia si strutturò in tre settori o ambiti, omologhi e fra loro variamente intrecciati, ma che possono essere considerati separatamente a partire da alcuni peculiari elementi comuni a tutti i settori ma in ciascuno di essi connotato diversamente. Il primo elemento comune a tutti i settori è il nucleo di perfezione (1) su cui l'opus si struttura, che viene definito secondo diverse tipologie. Alcuni alchimisti medievali individuarono tale nucleo nella perfezione dei metalli,altri lo intesero piuttosto come l'agente della perfezione sia dei metalli che del corpo umano, chiamato elixir; altri ancora considerarono oggetto della propria ricerca l' ottenimento della salvezza, parallela a quella spirituale prodotta da Cristo (poiché gli alchimisti medievali occidentali si collocavano all' interno del cristianesimo), ma coinvolgente l' intera realtà materiale e spirituale del mondo e degli esseri umani. Si possono così distinguere tre ambiti della ricerca alchemica, che chiameremo 'alchimia metallurgica', 'alchimia dell'elixir' (o farmacologica) e 'alchimia spirituale' Pur nella loro diversità, tutti i nuclei possono essere ricondotti all' idea di perfezione materiale raggiunta a partire da un ritorno allo stato di materia prima, e ciascuno di essi è il centro strutturante di un sapere complesso, che si articola in: una dottrina (2), un obiettivo (3), un processo operativo (4), un prodotto (5) e un ambiente privilegiato di diffusione (6). L' alchimia rivela perciò l' esistenza di una tradizione filosofica (che oggi possiamo definire 'filosofale') dalle molteplici sfaccettature, che non si identifica né è subalterna alle culture istituzionali del medioevo (monastica e universitaria). Essa propone un modello diverso di pensiero fisico e, soprattutto, di interazione fra gli esseri umani e la realtà materiale che si sviluppa nelle molteplici discussioni sul rapporto arte-natura e che, pur cessando alla fine del Medioevo di essere oggetto di dibattito aperto, ha continuato per secoli a costituire una presenza sotterranea costante e anche, talvolta, uno stimolo per i pensatori della modernità.
16.FARE, SAPERE
Il perdurare dell' interesse per il "segreto" dell' alchimia anche dopo che, alla fine del Medioevo, essa venne confinata nell' ambito dell' occulto, si deve alla caratteristica essenziale di questo sapere che, a differenza del theorein che caratterizza la filosofia occidentale a partire dalle sue origini, si fonda su una dipendenza del conoscere dall' agire. Il fare alchemico è una prassi che mira a decostruire la fissità dei vincoli naturali per ricostituire una realtà materiale perfetta, processo che in estrema sintesi viene espresso nell' aforisma "solve et coagula" (dissolvi e solidifica), ma che si sviluppa attraverso un' ampia e diversificata serie di operazioni. L' operatività alchemica è prioritaria rispetto al sapere che essa produce, sebbene tale sapere sia considerato dagli alchimisti come un' introduzione necessaria all' opus: c' è dunque una circolarità, che si manifesta nella trasmissione delle dottrine alchemiche, dove un maestro, che conosce perché ha compiuto l' opus, introduce un discepolo attraverso insegnamenti teorici, fino a che questi è in grado di vedere - e dunque di comprendere veramente - ciò che ha fino ad allora ascoltato. In alternativa, l' iniziazione alchemica può avvenire attraverso un percorso di molteplici letture, nessuna delle quali tuttavia è da sola la chiave della comprensione, che viene raggiunta attraverso un salto di livello intuitivo (equivalente al vedere il maestro che opera) descritto nei testi come "donum Dei" o "visio" (dono divino, rivelazione).
16.ARTE E NATURA
Il rapporto fra l' operatività dell' alchimia e le dinamiche naturali è il filo che lega tutti i percorsi alchemici, mettendo a fuoco la riflessione su due problemi: 1) l' identità o differenza fra ciò che viene prodotto nel laboratorio e la sostanza naturale omologa; 2) l' identità o differenza dei processi impiegati dagli alchimisti rispetto a quelli della natura. Fra le prime risposte a questa problematica, il Liber Hermetis, anonimo, afferma la sostanziale identità, e anzi la maggiore perfezione, dei prodotti artificiali rispetto a quelli naturali. Tale posizione, che sentiremo riecheggiare nelle affermazioni di Ruggero Bacone a proposito della superiorità dell' oro prodotto alchemicamente, non è tuttavia generalizzata. Geber latino ritiene per esempio che l' artefice operi con procedure diverse da quelle naturali per produrre effetti identici ad essa: definisce cioè l' alchimia metallurgica come una imitazione della natura, rendendo possibile una sua collocazione nell' ambito del sistema aristotelico. Alberto Magno addirittura sostiene che le procedure alchemiche si limitano a predisporre la materia prima ad un intervento di perfezionamento che è strettamente riservato alla natura stessa. Ruggero Bacone, invece, e con lui gli alchimisti della tradizione trecentesca dell' elixir e della quintessenza (lo pseudo Raimondo Lullo , Giovanni Dastin , Arnaldo da Villanova , Giovanni da Rupescissa ), ritengono che la produzione di una sostanza più perfetta di qualsiasi sostanza naturale non possa che avvenire seguendo rigorosamente le stesse procedure seguite dalla natura, che pertanto in questa tradizione viene definita la maestra dell' alchimista. La dottrina di Bacone si fonda su una teoria della materia che rende possibile una operatività trasformatrice più radicale di quella di Geber, perché basata sulla scomposizione di ogni sostanza mista (compresi i metalli, ma non solo essi) nei quattro elementi originari.
17.MATERIA PRIMA
Il raggiungimento dello stadio di materia prima rappresentava un requisito essenziale per l' opus, la cui possibilità era messa in dubbio radicalmente da uno scritto di Avicenna , conosciuto dai latini come Sciant artifices, nel quale si affermava che era impossibile ottenere una vera trasmutazione perché, appunto, le varie operazioninon riuscivano ad ottenere la materia prima. A questa obiezione radicale cercarono di rispondere tutti gli alchimisti. L' identificazione dello stato liquido, cui vengono ridotti i metalli mediante la fusione, con la materia prima dei metalli stessi, e la constatazione che uno di essi, il mercurio, si trova naturalmente allo stato liquido, portò ben presto alcuni alchimisti a riconoscere in esso la materia prima di tutti i metalli, identificandolo con l' esalazione freddo/umida che entra nella composizione naturale di essi. Le loro ricerche si concentrarono inoltre sulle sostanze che potevano rappresentare il ruolo dell' esalazione caldo/secca: lo zolfo, inteso sia come sostanza specifica, sia come indicazione generica di materiale urente (essenzialmente acidi di origine vegetale e/o minerale). Se nell' ambito dell' alchimia metallurgica la materia prima veniva identificata col mercurio, nelle ricerche sull' elixir, che si basavano su una teoria della materia generale, la materia prima viene identificata con il prodotto della distillazione, che scompone ogni corpo composto nei quattro elementi che sono alla base di tutta la realtà ed è dunque in grado di riprodurre le condizioni cosmologiche originarie, giustificando la pretesa dell' alchimista di operare a livello di creazione, come co-creatore. Nella ricerca alchemica della salvezza lo stato equivalente alla materia prima viene invece considerato quello della nigredo o putrefazione, raffigurato spesso come smembramento del corpo in funzione del sacrificio che ne garantisce la reintegrazione.
18.IL FUOCO
La regolazione del calore nelle varie operazioniè una delle preoccupazioni più ricorrenti nella letteratura alchemica, ed è con ogni probabilità uno degli aspetti del magistero che maggiormente necessita di un insegnamento "in presenza", data la difficoltà di indicare in astratto i diversi gradi di calore corrispondenti ai diversi stadi dell' opus. Un modo per guidare l' uso del fuoco è quello di indicare i materiali che bruciando sviluppano calore diverso: fuoco di carbone, fuoco di sterpi, fino al "fuoco" (cioè calore) sviluppato dalla fermentazione di letame o di altre sostanze. Per mitigare gli effetti del fuoco, quando il calore che occorre è molto tenue, si usano artifici come il cosiddetto balneum Mariae (dal nome della alchimista di età alessandrina cui pare se ne debba l' invenzione, come pure quella della distillazione; da esso deriva il nostro "bagnomaria") o il bagno di sabbia: in entrambi i casi il vaso è immerso in una sostanza (acqua o sabbia) che diffonde in maniera uniforme e mitigata il calore del fuoco. I vari tipi di forno o fornello sono descritti e spesso raffigurati nei testi d' alchimia. Il più frequente è certamente il forno detto atanor, in cui il fuoco viene acceso in una camera chiusa ed il vaso è posto in una sede sovrastante, a contatto con essa.
19.IL VASO
Chiusura e cottura sono gli elementi imprescindibili di ogni operazione alchemica. Il vaso, che può assumere forme diverse (le più comunemente raffigurate sono l' alambicco, l' aludel, il pellicano) dev' essere costruito con materiale resistente al fuoco ed inerte: perciò alla tecnologia alchemica si collegano procedimenti di vetrificazione delle terrecotte. Il sigillo che chiude la bocca del vaso, rendendo impossibile ogni scambio con l' esterno, è chiamato nei testi lutum Hermetis, terra di Ermete: da esso proviene la moderna locuzione di "chiusura ermetica". L'isolamento rispetto all' ambiene esterno impedisce gli scambi materiali, ma non quelli energetici: la sostanza, o le sostanze, racchiuse nel vaso si modificano infatti visibilmente sotto l' azione del fuoco, che l' alchimista somministra seguendo le fasi della trasmutazione attraverso le modificazioni visibili della sostanza, in particolare il colore.
Fonte:
http://www.yemaya.it
http://bibliotecamakart.altervista.org
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