mercoledì 4 maggio 2016

COS'E' LO ZEP TEPI?

lo Zep Tepi degli antichi egizi è un preciso periodo storico risalente al 36.420 a.C 


 

Secondo i “Testi delle Piramidi”, ci fu un periodo primordiale dal quale emerse l'ordine dal caos e nel quale gli dèi governavano la Terra. Tale periodo è chiamato “Zep Tepi”. Si tratta solo di racconti mitologici, oppure ci sono fatti storici dietro la tradizione dello Zep Tepi? Armando Mei, un ricercatore italiano, è convinto che lo Zep Tepi si riferisce ad un preciso tempo storico databile al 36.420 a.C.

I Testi delle Piramidi, la somma delle decorazioni e degli scritti murali rinvenuti in diversi monumenti egizi, ci hanno tramandato la maggior parte delle informazioni sui primi miti di creazione dell’Antico Egitto.

In tutti questi miti viene descritto un periodo lontano, definito TPJ ZP (talvolta trascritto come Zep Tepi, ovvero “prima occasione”).
Uno dei documenti più interessanti è certamente il Papiro di Torino, conosciuto anche come Papiro dei Re, un documento risalente alla XIX dinastia egizia che riporta, oltre all’elenco dei sovrani dall’unificazione dell’Alto e Basso Egitto fino al momento della compilazione, la lista dei re divini e semidivini del Periodo Predinastico.
Il calcolo a ritroso della cronologia contenuta nel Papiro di Torino indicherebbe che il periodo primordiale, ovvero quello del regno di Ptah, creatore e primo sovrano dell’Egitto, risalirebbe a circa 39 mila anni fa.
 La storicità dello Zep Tepi
In un articolo scritto per Ancient Origins, Armando Mei spiega che i ricercatori hanno avanzato numerose teorie per quanto riguarda il complesso monumentale di Giza, siano essi appartenenti alla scuola accademica o a quella indipendente, proponendo diverse ipotesi sulla funzione dei complessi monumentali e sulle tecniche adottate per la loro costruzione.
In realtà, ad oggi, nonostante i molteplici tentativi di entrambe le scuole di pensiero non è stato ancora possibile rispondere ai tantissimi interrogativi che aleggiano sul misterioso complesso di Giza.
Certo, è innegabile che l’egittologia accademica abbia notevolmente contribuito alla nostra conoscenza di una civiltà unica e incomparabile, incredibilmente sviluppata dal punto di vista sociale, artistico e scientifico.
Tuttavia, gli stessi egittologi accademici hanno persistito nel voler far risalire alcuni reperti archeologici all’epoca dinastica, che secondo Mei poco, o niente, hanno a che vedere con quel periodo. Questo ha creato una certa confusione tra i ricercatori e ha influenzato non poco la nostra comprensione della preistoria d’Egitto.
Mei ritiene che una delle teorie più importanti degli ultimi 20 anni, in termini scientifici, sia quella proposta da Robert Bauval e nota come Teoria della Correlazione di Orione, secondo la quale il complesso monumentale di Giza non è altro che la proiezione terrena della Cintura di Orione, esattamente come si presentava nel 10.450 a.C. nel cielo sopra l’Egitto.
Nonostante sia stata stroncata a priori dagli ambienti accademici, questa teoria ha consentito lo sviluppo di nuove metodologie d’indagine che hanno, in parte, chiarito alcuni dei misteri legati al cosiddetto Periodo Predinastico.
Ed è proprio in questo filone d’indagine che si inserisce la teoria formulata da Armando Mei sviluppata in collaborazione con Nico Moretto. Attraverso l’applicazione di un modello matematico al complesso monumentale di Giza e l’analisi delle correlazioni astronomiche, i due ricercatori hanno retrodatato l’origine della Civiltà delle Piramidi al 36.900 a.C. dando un valore storico al mitologico Zep Tepi (o Primo Tempo di Osiride) e alla cronologia trascritta nel Papiro di Torino o Canone Reale.
Nello schema sottostante, è riprodotto la configurazione del cielo sopra la piana di Giza nell’anno 36.420 a.C. Ciò che colpisce è che all’alba dell’equinozio di primavera, all’inizio di un intero ciclo di precessione astronomica che terminerà nel 10.450 a.C., tutti i monumenti di Giza risultano perfettamente allineati con le costellazioni.
La teoria di Mei differisce da quella di Bauval almeno per due aspetti. Innanzitutto, rispetto alla Correlazione di Bauval sulla scena astronomica è presente Sirio-Iside, completamente al di sotto dell’orizzonte celeste nella sua teoria. Inoltre, nel 10.450 a.C. sul meridiano celeste è presente Mintaka, corrispondente della piramide di Micerino, la più piccola tra le piramidi maggiori di Giza.
Questi elementi ci lasciano intendere che la nostra teoria sia esattamente in linea con il messaggio che i Costruttori hanno voluto tramandare. Cheope ed Al Nitak sono in corrispondenza nel 36.420 e non nel 10.450 e l’origine dei miti egizi sarebbe confermata dalla teoria. L’Epoca d’Oro ricordata dagli Egizi Dinastici troverebbe così un fondamento nella Teoria della Datazione Storica dello Zep Tepi.
Mei non si sofferma sulle tecniche utilizzate per la costruzione delle Piramidi che rimangono ancora un mistero. A suo parere, i costruttori hanno voluto segnare un’epoca, molto probabilmente per celebrare i fasti di una Civiltà ormai al culmine della propria evoluzione scientifica. Così Mei in un’intervista su Nexus Magazine:
«L’Egittologia, a nostro parere, ha avuto il grande merito di ricostruire un periodo storico importante compreso tra il 3.100 ed il 343 a.C. ma ha commesso l’improvvido errore di sottovalutare moltissimi reperti che collegano quelle Terre a civiltà evolute che nulla hanno a che fare con l’Egitto Dinastico.
Del resto ci chiediamo come sia stato possibile edificare Giza con le tecniche utilizzate dagli Egizi dell’Antico Regno. Non avevano né le competenze tecniche e neanche gli strumenti necessari per edificare quelle opere immortali. Inoltre, ci chiediamo come sia stato possibile, durante la IV Dinastia, costruire quei complessi monumentali, in maniera così precisa, senza una concezione minima del disegno tecnico.
Insomma, a nostro parere, i venti anni canonici attribuiti dagli Egittologi per la costruzione della Piramide di Cheope non sarebbero bastati neppure per la costruzione delle prime dieci file di blocchi!».


Entriamo più in dettaglio:

Lo Zep Tepi - Quando in Egitto governavano gli "Dei"



Con periodo predinastico dell’Egitto si intende la fase precedente alla formazione dello stato unitario egiziano. La fase comincia nel neolitico antico e arriva fino a circa il 3060 a.C.; il paese è suddiviso nei due regni del Basso Egitto e Alto Egitto.



Il predinastico è stato preceduto dal Neolitico Badariano (4400 a.C. – 3900 a.C.) e da altre culture nilotiche tra quali la cultura di Nabta Playa, la Cultura tasiana, la Cultura Faiyum e la Cultura di Merimde.



Si ritiene che le capitali fossero Pe, nel delta del Nilo (Basso Egitto) e Nekhen, presso Edfu, (Alto Egitto).



Poco si conosce sui sovrani di questo periodo; la Pietra di Palermo riporta, anche se molto frammentariamente, i nomi di sette sovrani del Basso Egitto senza però citare alcun fatto ad essi collegato.



Ka-Hor fa fabbricare quella che oggi è nota come “Pietra di Palermo”: una lastra di diorite della quale rimane un frammento conservato appunto nel museo di Palermo. Ivi egli fa incidere i nomi dei suoi antenati, che si sono ritagliati un dominio attorno all’attuale Abido, i nomi delle loro madri (perchè in epoca predinastica il potere era tramandato per via matriarcale) ed il livello raggiunto anno per anno dalle piene del Nilo, onde poter affermare che il dio Nilo ascolta le sue preghiere ed invia raccolti sempre più ubertosi. Tra questi antenati, dopo un re senza nome, si leggono i nomi di Ny-Hor, Hat-Hor , Pe-Hor, Hedj-Hor e di suo padre Iry-Hor (la cosiddetta “dinastia zero”, ultima fase del Predinastico); Hat-Hor diverrà poi, nel Pantheon egizio, la dea Hathor. Anche di Ka-Hor rimarrà un ricordo indelebile nella mitologia egiziana, perchè dopo di lui “Ka” diverrà sinonimo in Egitto del principio vitale stesso, cioè dell’anima dell’uomo, siccome egli aveva proclamato di possedere “la vita immortale”.



Manetone (sacerdote di Eliopoli del III secolo a.C.) fa iniziare la sua mitologica storia predinastica dell’Egitto nel 30544 a.C., con la dinastia degli dèi, che dura complessivamente 13.900 anni, e di cui Osiride è il quinto sovrano. Curiosamente, anche Giove è il quinto signore dell’Olimpo. Segue la dinastia dei semidei, che dura 1255 anni. Segue una prima stirpe di re umani, che regna per 1817 anni. Altri trenta re, regnano complessivamente 1790 anni. Poi altri dieci re regnano sulla sola Tebe per 350 anni. Infine, per 5813 anni, abbiamo l’ultimo periodo predinastico, quello degli “Spiriti dei defunti” (o “Spiriti della morte”) che il Papiro di Torino chiama “Spiriti che furono seguaci di Horo” o “I seguaci di Horo”.



Dell’Alto Egitto conosciamo due nomi di re: il primo viene usualmente identificato con Ka mentre il secondo è indicato con il geroglifico che indica lo scorpione. Secondo alcuni studiosi, però, la lettura del nome Ka è scorretta e alcuni ritengono di dover identificare i due sovrani in una sola persona.



Il Re Scorpione è il primo sovrano egizio di cui siano noti alcuni fatti storici, grazie al ritrovamento di alcuni frammenti di una mazza in calcare decorata con scene della sua vita. Probabilmente cercò, e forse non fu il primo, di conquistare il Basso Egitto. Si ritiene, comunemente, che l’impresa riuscì al suo successore Narmer, di cui è famosa una tavoletta di ardesia per trucco, che reca incise scene che mostrano il sovrano cingere le due corone del Basso ed Alto Egitto. Alcuni studiosi però ritengono che Narmer e il Re Scorpione siano lo stesso personaggio. Il re Scorpione appartiene al periodo predinastico recente definito anche dinastia zero.



Sotto di lui prende forma l’Egitto faraonico.



Il Diluvio universale: La stirpe degli Dèi


Il Re Scorpione però non si accontenta di questa impresa: dopo aver fondato effettivamente l’impero egizio unitario, egli asserisce di aver sognato suo padre Ka-Hor, custode della Vita nell’Oltretomba, raffigurata come una colomba bianca appollaiata sotto una grande mano di pietra nera, la Mano del Destino che guida ogni azione umana. Ka-Hor gli avrebbe comandato di partire alla conquista del mondo e di unificare tutte le genti sotto il governo della propria mazza. Così, dopo aver lasciato il Gran Visir Sehen a governare il regno, nel 3163 a.C. con un numeroso esercito fatto di giovani che lo idolatrano e gli sono fedeli fino alla morte, varca i confini del Sinai e conquista la Palestina e la Siria. Giunto sull’Eufrate, si allea con i semiti antenati degli Accadi e con il loro re Humbaba, di corporatura colossale; con loro invade la Mesopotamia sconfiggendo le nascenti città sumeriche.



Questo provocherà tra i Sumeri il ricordo di una potenza ostile proveniente dall’occidente, ed Humbaba verrà ricordato come il mostro custode delle montagne della Siria e dei cedri del Libano. Skr-Hor ed Humbaba radono al suolo la più eminente tra le città sumeriche, Shuruppak, che ha opposto loro una strenua resistenza, nonostante il sapiente Ut-Napishtim consigliasse di venire a patti con i re d’occidente per salvare la città. Accusato di tradimento, Ut-Napishtim è incarcerato con tutta la sua famiglia, ma il Re Scorpione lo libera ed ordina che sia l’unico ad essere risparmiato dal generale eccidio della città, che conterà 10.000 morti. 



Il sapiente, che asserisce di aver dato ascolto ai vaticini inviatigli da Ea, dio dell’aria, ma che è semplicemente dotato di grande pragmatismo politico, diventa astrologo di corte del re, e dagli egiziani viene chiamato semplicemente Ut; la sua vicenda genera la leggenda dell’unico uomo salvatosi dalla distruzione di Shuruppak, e più tardi dell’unico sopravvissuto al Grande Diluvio (ne resta traccia nel Poema di Gilgamesh).

Il racconto del diluvio universale è presente nella tradizione egizia tanto quanto in quella di ogni altra civiltà; e tale conoscenza non può per questo essere confutata semplicemente dal fatto che l’Egitto non sia stato colpito da questa catastrofe. Ritornando al passo precedente del Timeo di Platone è infatti opportuno riportare l’ultimo frammento:



“Allora dunque gli abitanti delle montagne e dei luoghi alti e aridi muoiono più di quelli che dimorano presso i fiumi e il mare. E il Nilo, com’è nostro salvatore nelle altre cose, così dilagando ci salva allora da questa calamità. Quando invece gli dei, purificando la terra con le acque, l’inondano, i bifolchi e i pastori, che abitano i monti, si salvano, ma gli abitanti delle vostre città sono trasportati dai fiumi nel mare. Ora in questa regione né allora né mai l’acqua scorre dalle alture sui campi, ma al contrario suole scaturire dalla terra. Così dunque per queste cagioni si dice che qui si sono serbate le più antiche memorie, ma in verità in tutti i luoghi, dove né il freddo immoderato né il caldo l’impedisce, sempre v’è quando più e quando meno la stirpe umana.”



I sacerdoti di Sais sono perfettamente al corrente di quanto accaduto nelle altre regioni, e in modo particolare in Grecia; conoscono il racconto di Deucalione e Pirra, ma sostengono che esso appartiene a un’epoca relativamente recente della storia.



Tale diluvio, secondo i registri e gli annali conservati nei templi delle città sacre, non ha seriamente coinvolto quella terra: l’Egitto è stato salvato non solo dal Nilo (al pari di una divinità, forse tra tutte la più importante nella vita pratica e quotidiana di quelle popolazioni), che lo dirige con regolare alternanza delle piene e delle magre, ma anche e soprattutto dalla particolare e favorevole posizione geografica del territorio (“dove né il freddo immoderato né il caldo l’impedisce”).



Per questa ragione l’Egitto rappresenta la vera culla della civiltà, dato che la sua storia in realtà è molto – ma molto – più antica di quanto si possa immaginare (“ qui si sono serbate le più antiche memorie ”). Ma allora, quanto più antica? Di quanto erano più anziani gli Egizi rispetto ai fanciulli Greci e a tutte le altre razze?



Un sacerdote di Eliopoli del III secolo a.C., tale Manetone, redasse una esauriente ed approfondita storia dell’Egitto che purtroppo non ci è giunta in forma completa, pur avendo continuato a circolare fino al IX (Nono) secolo d.C.: infatti alcuni dei papiri di cui era costituita vennero utilizzati in epoche successive da autori e cronisti ebrei e cristiani. Una versione armena della Chronica di Eusebio di Cesarea ci informa di aver attinto dalla storia dell’Egitto di Manetone, che era composta di tre libri e che trattava “degli dei, dei semidei, degli spiriti dei morti e dei re mortali che governarono l’Egitto”. Eusebio cita la cosiddetta “enneade” di Eliopoli, la stirpe dei primi nove Dei che governarono l’Egitto nello “Zep Tepi” (il favoloso Primo Tempo, simile in tutto e per tutto all’Età dell’Oro di altre tradizioni).



Secondo Manetone gli Dei mantennero il potere sovrano, trasmettendolo l’uno all’altro, per 13.900 anni; poi regnarono i Semidei per 1.255 anni; in seguito si alternarono ulteriori discendenze di re, rispettivamente per :



- 1.817,

- 1.790,

- 350 anni;



quindi vi fu il regno degli spiriti dei morti per 5.813 anni; solo al termine di quest’ultimo periodo comincia la discendenza dinastica (Menes, faraone della I dinastia e unificatore dei due regni dell’Alto e Basso Egitto, nel 3.100 a.C.).



Stando dunque a questa apparentemente folle cronologia, partendo dalla scadenza comunemente accettata (salvo inevitabili divergenze) del 3.100 a.C., come reale inizio non solo della storia dell’Egitto ma dell’intera civiltà dell’uomo, risaliremmo alle seguenti date:



8.913 a.C. (fine dell’epoca dei dieci re ed inizio del regno degli spiriti dei morti);

9.263 a.C. (fine dell’epoca dei trenta re ed inizio del regno dei dieci re);

11.053 a.C. (fine dell’epoca dei primi re non divini e inizio del regno dei trenta re);

12.870 a.C. (fine del regno dei Semidei e inizio del regno dei primi re non divini);

14.125 a.C. (fine del regno degli Dei e inizio del regno dei Semidei);

28.025 a.C. (Zep Tepi e inizio del regno degli Dei).



La somma delle date di transizione precedentemente citate dal racconto di Manetone dà un totale di ben 24.925 anni di “preistoria” egizia: 13.900 + 1.255 + 1.817 + 1.790 +350 + 5.813 = 28.025 – 3.100 = 24.925



All’inizio del Regno Antico esistevano numerosi miti della creazione che implicavano il sole, e siccome si erano sviluppati diversi centri religiosi in altrettante città, le caste sacerdotali di questi centri cercarono di aumentare il loro potere e il loro status sviluppando le rispettive teologie per collocare il loro dio come creatore del mondo.



Tutte queste numerosi tradizioni non sono affatto troppo dissimili tra loro, differenziandosi più che altro per certi dettagli e per la composizione del pantheon da loro venerato. È un po’ in piccola scala quello che su grande scala avviene di fatto tra le culture di tutte le popolazioni antiche e moderne del mondo intero.



Per quanto riguarda l’analisi della mitologia presente in Egitto, in ogni caso non possiamo non avere come principale punto di riferimento la teologia ai tempi professata dai sacerdoti della città di Eliopoli.



La tradizione comune parla di un inizio, un tempo in cui in Egitto non esisteva alcuna terra e tutto era oscurità; queste tenebre erano un illimitato oceano informe, un brodo primordiale nero e apparentemente inerte chiamato Nun. Da questa enorme distesa d’acqua emerse il dio sole (Atum/Ra) manifestatosi come un grande uovo splendente.



Sembra però più attendibile la versione che Ra sia un appellativo tardo, o forse addirittura la figura di un dio successivo, pur essendo ugualmente identificato col sole. In ogni caso viene associato alla figura di Atum, forse più legittimamente come una delle sue manifestazioni: “Io sono Khepera all’alba, Ra a mezzogiorno, Tem alla sera”, nel suo tragitto attraverso la volta celeste (notare l’analogia con la nostra concezione di Trinità, di Dio Uno e Trino).



Questo dio era estremamente potente, poteva assumere qualsiasi tipo di forma e aveva il dono di creare tutte le cose soltanto nominandole: battezzò Shu e furono i venti, Tefnut e cadde la pioggia, Geb e nacque la terra, Nut e apparve l’arcata del cielo, Hapi e prese a scorrere il grande fiume Nilo che portò la ricchezza dei suoi frutti. Il capostipite nominò tutte le cose della natura ed esse crebbero; finché non chiamò l’umanità e l’Egitto si popolò (ricordate il nostro : ”Dio disse ….e…..fu”).



Andando ad analizzare più profondamente il mito della creazione, ci imbattiamo in due fondamentali elementi della storia dell’Antico Egitto. Il primo, come già annunciato, è Eliopoli (il toponimo è quello greco, ma il termine egizio originale è Innw, da cui deriva quello più moderno di On).



Eliopoli era il più grande e antico centro religioso dell’Egitto, la cui casta sacerdotale era in possesso di tutte le conoscenze umane, riuscendo a ordinare i numerosi miti e raccogliendo anche il tutto nei testi esoterici e negli annali.



Il secondo è rappresentato dai cosiddetti Testi delle Piramidi, rinvenuti ormai due secoli fa all’interno delle piramidi di Saqqara (in particolare quella del faraone Unas della V dinastia). In base a questo ‘testo’ Atum emerse da Nun come una collina primordiale, la prima terra comparsa in mezzo a tutto quel nulla (quindi, un’isola vera e propria); e i sacerdoti la identificavano proprio con il luogo dove sorgeva il loro tempio, come afferma la formula 600 dei Testi delle Piramidi:



“O Atum! Quando giungesti ad esistere emergesti come un’Alta Collina,

scintillasti come Pietra Benben nel Tempio della Fenice in Eliopoli.”



La pietra Benben era la collina primordiale manifestata. Qualcuno afferma che fosse il supporto del dio sole e che la pietra originale fosse conservata nell’Hewet-Benben, il Tempio di Benben a Eliopoli.



La sua sommità era ritenuta il punto colpito dai primi raggi del sole al suo sorgere, e deve aver fatto da archetipo alle simili pietre che si ritiene fossero un tempo collocate sulla cima degli obelischi e delle piramidi. (Nacque da tale particolarità l’abitudine di creare siti e monumenti in cui il sole al sorgere di particolari giorni dell’anno, equinozi o solstizi, si manifesta in un modo particolare o provoca spettacolari effetti?)



Ma il Tempio di Benben è spesso anche denominato Tempio della Fenice, o meglio ancora il ‘Tempio di Bennu’: la parola Benben deriverebbe dall’antico termine weben (= ‘sorgere nello splendore’), il che porterebbe più o meno direttamente all’immagine della Fenice, l’uccello mitologico che rinasce dalle sue ceneri.



Il mito greco della Fenice è stato introdotto dallo storico Erodoto, e racconta di un uccello simile a un’aquila che ogni 500 anni trasporta il genitore defunto, racchiuso in un uovo di mirra, dall’Arabia all’Egitto e lo brucia nel tempio del sole.



Tuttavia, anche Erodoto aveva soggiornato a lungo in Egitto, e sempre da dialoghi con i sacerdoti di Eliopoli aveva appreso del mito della Fenice, da loro chiamata Bennu (a differenza dell’omologo greco, identificato con un uccello simile a un’aquila, il Bennu nei Testi delle Piramidi viene raffigurato come una specie di cutrettola gialla e associato anch’esso ad Atum/Ra): questo uccello si era posato sul Benben per lanciare col suo canto il messaggio che l’età degli dei era iniziata; è segnalato anche nel Libro dei Morti come airone grigio, simbolo sia di Ra che di Osiride e appare anche nei riti funerari per assicurare che il morto sarebbe rinato nel mondo sotterraneo.



E’ immediato il collegamento logico derivante dal raffronto tra i termini Benben e Bennu (il piramidio e la creatura): entrambi riportano alla radice semitica bn (indicante il concetto di ‘generazione’) e alla sua forma ripetuta bnbn oppure bnn (‘fluire’, ‘scorrere’, ma anche ‘seme’); e appare evidente anche il rimando a un’immortale iconografia mentale: la simbologia sessuale del fallo (la colonna con il Benben, ‘uccello Bennu’). Atum, d’altra parte, si era generato da solo nel nulla, e sempre da solo, come rivelano i Testi delle Piramidi, aveva generato le divinità Shu e Tefnut.



E non è neppure da ignorare la possibilità che ci sia un reale collegamento tra la pietra del Benben e il Baetylos siriano o la pietra nera venerata nell’Islam, e quindi – per dirlo in parole povere – un particolare rapporto con ‘strani segni’ e presagi piovuti dal cielo.



Ora, per concludere questa sezione e darne un quadro riassuntivo più diretto, vediamo le fasi della creazione nel mito e nella possibile evoluzione storica della natura:



28.025 a.C. circa, Zep Tepi e inizio del regno degli Dei.



Erodoto (Storie, Libro II) apprende che il Primo Tempo egizio fosse un’epoca remotissima, e che da essa ai suoi giorni il sole si sarebbe mosso quattro volte: “in questo periodo di tempo il sole si sviò quattro volte dall’usato suo corso: due volte sarebbe spuntato di là dove ora tramonta; e dove ora sorge, ivi due volte sarebbe tramontato”. I poli hanno ricostituito le calotte glaciali, il livello dei mari cala vistosamente, ‘emergono’ le prime terre (prima sotto forma di semplici isole), il clima non è più insostenibilmente caldo, aumentano gli squarci di nuvole, filtra la luce del giorno, si rivede la volta celeste con i suoi Dei/pianeti.



Nel mezzo di un oceano mondiale (Nun, l’acqua primordiale) sorge un’isola: quest’isola viene associata a una strana catena di simboli: un uccello, che poi diventa seme, e quindi pietra, colonna, piramide. È un’isola nata dal nulla (si è generata da sola), ed essendo identificata nel dio sole Atum, segna un passaggio netto tra una condizione di oscurità e immobilismo (l’impossibilità di osservare il cielo nascosto e il moto dei pianeti e quello apparente delle stelle fisse) e la luce, lo ‘splendore’: Atum generà Shu (dio dell’aria e del vento) e Tefnut (dea della pioggia e dell’umidore, presumibilmente identificata con il serpente uraeus o con l’iris):

Shu, in quanto aria e vento, aiuta la ‘Nave del Giorno’ di Atum/Ra nel suo tragitto da Khepera (alba) a Tem (tramonto); Tefnut è molto spesso descritta come una donna dalla testa di leone e può essere anche associata alla dea Sekhmet, che compare in altre tradizioni come l’esecutore della volontà di Atum di sterminare l’umanità.



Shu e Tefnut (‘figli del dio sole’ oppure ‘occhi del signore del tutto’, prima coppia divina) generano Geb e Nut, la terra e il cielo (questa è l’unica tradizione di un ‘dio’ terra e di una ‘dea’ cielo). Geb quando sorride scatena i terremoti e sul suo corpo fioriscono tutti i doni che possono essere mangiati (le eruzioni vulcaniche forniscono alla terra il calore e i nutrimenti vitali necessari come fondamenti dell’habitat futuro per la vita). Il dio è raffigurato sdraiato sul lato e appoggiato sul gomito saldo. Nut è invece la sua sposa sorella che si erge inarcata sopra di lui, con il suo corpo decorato di stelle. Ella inghiottisce Atum/Ra (Tem) e la ‘Nave della Notte’ viaggia attraverso il suo corpo durante le ore notturne. All’alba lo riporta alla vita in forma di Khepera. Questo potere rigenerativo di Nut, attraverso il percorso morte – sepoltura – rinascita, si trova nel concetto dei sarcofagi (la dea che a braccia aperte accoglie il defunto).



A questo punto Atum si è incarnato in uomo, ha governato per millenni e millenni, è diventato un vecchio sole indebolito nei suoi poteri: per questa sua necessaria mortalità, non viene più venerato dagli uomini che ormai lo scherniscono. Atum allora si infuria e chiama a raccolta i suoi figli e i loro figli (gli altri dei) insieme allo stesso Nun e li avverte che medita vendetta sull’umanità (un Concilio degli Dei del tutto simile a quello presente nell’Odissea). Si giunge alla conclusione di colpire gli uomini con un flagello e la dea Sekhmet/Tefnut sarà l’esecutrice materiale del piano: questa dea, dalla testa di leone e dagli istinti famelici, si reca in Egitto a caccia di uomini da divorare e sangue per nutrirsi, e compie una strage. Quando poi si rende conto di quello che succede e che la dea è ormai incontrollabile, Atum si impietosisce, raduna ancora in assemblea gli Dei e viene deciso così di risparmiare l’umanità sopravvissuta. Vengono chiamati dei messaggeri velocissimi incaricati di recarsi, di notte e in gran segreto, all’isola Elefantina per raccogliere una gran quantità di ocra rossa. Questa viene portata ad Eliopoli e quindi aggiunta e mischiata alle settantamila giare di birra che durante il giorno le dee avevano preparato.



I messaggeri spargono la birra rossa (del tutto simile al sangue) su tutta la terra, inondandola. Al suo risveglio Sekhmet vede tutto quel sangue e comincia a bere… a bere… a bere… e una volta terminata la bevuta non ha più niente da divorare, e comunque è ormai sazia.



Quindi, se ne torna da Ra e i sacerdoti che la venerano per lungo tempo si riuniscono una volta all’anno per bere in suo onore birra rossa, con la speranza di calmare di tanto in tanto la sua sete di sangue .



- Ed ecco il 14.125 a.C. circa, l’inizio del regno dei Semidei (la seconda parte dell’Enneade).



Al termine dell’inondazione (vista sempre come rimedio da una colpa – umana o divina – ed elemento rinnovatore), viene generata una “nuova” umanità, governata dai Semidei (i Nephilim Anunnaki?!), i quattro figli di Geb e Nut: Osiride, Iside, Seth e Nepthys. Osiride e Iside sono fratello e sorella, oltre che coppia divina, e regnano sull’Egitto portando la civilizzazione e riportando (attraverso la loro legge) l’ordine sulla terra. Osiride, in particolare, è il primo re antropomorfo e allo stesso tempo viene considerato il dio della morte e della resurrezione.



Secondo il racconto di Plutarco, egli aveva portato al popolo d’Egitto i doni della civilizzazione, insegnando loro ogni genere di pratiche utili, abolendo il cannibalismo e i sacrifici umani, e dotandoli del primo codice di leggi (Maat). Quindi, terminato il suo compito, egli partì in un viaggio per il mondo per portare questi doni anche alle altre civiltà.



Il mito afferma che:

Durante la sua assenza il fratello Seth tramò contro di lui. Al ritorno di Osiride, Seth e i settantadue fantomatici cospiratori della sua corte lo invitarono a un banchetto dove misero in palio un magnifico forziere di legno e oro a favore di colui che avrebbe potuto distendersi comodamente al suo interno. Gli ospiti non riuscirono a entrare, mentre Osiride vi entrò perfettamente e non fece in tempo ad uscire che i cospiratori lo rinchiusero inchiodandone il coperchio e sigillandolo col piombo fuso. Il corpo fu gettato nel Nilo, ma non sprofondò nel fiume e galleggiò trasportato dalla corrente fino al mare.



(ricordate la storia di Mosè? Anche altri racconti tramandatici nel tempo descrivono un evento del genere, una persona in un “contenitore” trasportato dalle acque).



Iside, con l’aiuto degli sciacalli, partì alla caccia del fratello, e lo ritrovò presso la costa di Byblos. Il forziere si incagliò tra i rami di un tamerice, il quale cominciò a crescere rapidamente ingigantendosi e incorporando Osiride nel cuore del suo tronco. Il re di Byblos decise di abbattere l’albero e di ricavare dalla parte del tronco contenente il forziere una trave di colmo per il suo palazzo. Iside quindi rimosse il corpo del fratello consorte e lo riportò in Egitto per sottoporlo al processo di rinascita.



Secondo un’altra versione, che può anche trattare di un episodio successivo, Osiride venne ucciso a pugnalate da Seth e tagliato in quattordici pezzi che vennero sparsi per tutto l’Egitto. Iside, che non aveva avuto la possibilità di avere un erede dal marito, riunì i pezzi e assistette insieme alla sorella Nephtys alla sua salma con grandi lamentazioni.



Iside, con i suoi poteri magici e l’aiuto della sorella, operò un processo di rigenerazione (attraverso la mummificazione), che fosse sufficiente a entrambi i coniugi per dar vita al loro figlio. Vi fu l’accoppiamento sessuale e fu concepito Horus: Iside assunse la forma di nibbio (ancora il Bennu/Fenice) e si abbassò sul fallo di Osiride per riceverne il seme. Solo allora, l’anima di Osiride poté intraprendere il viaggio astrale che l’avrebbe portato nel cielo come divinità. Iside, che si era rifugiata nelle paludi del delta del Nilo per sfuggire all’ira di Seth, diede alla luce Horus, il quale avrebbe vendicato il padre. Diventato un principe potente, Horus sfidò Seth a duello: durante il combattimento Horus perse un occhio e Seth i testicoli, ma il dio sole risolse la lotta decretando la vittoria di Horus, il quale venne proclamato il primo re nella linea dei faraoni.



- 12.870 a.C. circa, l’inizio della discendenza dei re ‘figli di Horus’ o ‘seguaci di Horus’.



Con Horus vengono identificati tutti i faraoni della linea, in quanto governanti viventi dell’Egitto: quegli stessi regnanti che, defunti, trasmigreranno nel cielo assumendo l’identificazione con Osiride.



Lo schema seguito è figlio (dio incarnato come Horus nel faraone) – Padre (controparte degli inferi e del cielo, anima del faraone) – Figlio (dio incarnato come Horus nel nuovo faraone).



La mummificazione del defunto, che è in attesa di compiere il suo tragitto verso il cielo, consente il temporaneo mantenimento in vita del divino per potersi reincarnare in un nuovo faraone. Shemsu Hor (‘i seguaci di Horus’) è anche un epiteto attribuito alla casta sacerdotale di Eliopoli. Alcune cronache storiche indicano che in qualsiasi momento potevano essere impiegati al servizio del Tempio di Benben anche 12.000 sacerdoti.



Il termine ‘sacerdoti’ però non è appropriato (o è in realtà comunque fuorviante e limitante): in realtà si dà per certo che essi non fossero altro che ‘astronomi’, tanto che l’alto sacerdote veniva chiamato “Capo degli Astronomi”.



- 8913 a.C. circa, la fine dell’epoca della discendenza dei re ‘figli di Horus’ e inizio del regno degli spiriti dei morti.



Di fatto, è un periodo di circa 6.000 anni che potrebbe coincidere con una fase di transizione tra la fine dell’età precedente e l’evoluzione di quella attuale. Il periodo dell’oscurità, degli inferi, del Diluvio Universale.



Come abbiamo potuto constatare la somma di tutto il periodo predinastico e’ di 24.925 mila anni, poco meno di un intero ciclo precessionale ed un po’ meno di quanto riportato dal Papiro di Torino, la cui somma dei regni predinastici e’ di circa 33.000 anni. Manetone in realta’ ha indicato la data del 36.500 a.C. come intera durata della civita’ Egizia, dal ciclo predinastico fino all’inizio della dinastia di Menes. Questo dato e significativamente decisivo nel processo di storicizzazione dell’epoca predinastica, poiche’ la datazione storica del “Primo tempo” e’ stata volutamente trascritta anche fisicamente sul pianeta Terra, sottoforma di monumenti, dai progettisti di Giza. La disposizione di tali monumenti non e’ casuale, come correttamente sostiane Bauval, e non solo per quanto riguarda gli allineamenti astronomici.




In conclusione, non e’ affatto azzardata l’ipotesi che in epoche remote sia esistita una popolazione testimone di epoche perdute, di una civilta’ scomparsa ed altamente evoluta. Ipotizziamo che sia vissuta decine di migliaia di anni fa, molto prima del regno di Menes, una civilta’ composta da esseri che custodivano i segreti piu’ reconditi del sapere e li hanno tramandati edificando monumenti stupefacenti utilizzando i codici ermetici della scienza. E’ davvero cosi difficile immaginare un passato remoto tanto complesso quanto storicamente dirompente?



La risposta e certamente nei monumenti di Giza.


Fonte: 
http://www.ilnavigatorecurioso.it
http://www.progettoatlanticus.net

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