All'arrivo del trentesimo anniversario di uno dei più grandi disastri causati dall'uomo, diamo uno sguardo su ciò che rimane e sulla situazione delle zone maggiormente colpite dalle radiazioni di ricaduta.
La città di Pripyat, Ucraina, prima del 26 aprile 1986 contava circa 50 mila abitanti. Poco dopo l'esplosione tutti i cittadini sono stati costretti ad evacuare la città in sole 3 ore, portando con se solo pochi oggetti personali. In qui momenti si parlò di un allontanamento temporaneo raccomandando di chiudere acqua, luce e gas, ma da quella fuga nessuno ha fatto più ritorno nella cittadina. Lasicando la città come uno spettro immobile fermo da trent'anni. Ora in quei luoghi si sente solo silenzio e desolazione, le poche persone che ci sono state trovano solo degrado, rovine e la vegetazione che sta riprendendo il suo spazio. Solo pochi fotografi hanno avuto il coraggio di avventurarsi in quella città causa del altrissimo livelo di radiazioni presenti. Un di questi è Verant Roland, fotografo austriaco che ha immortalato diversi scatti nelle 7 visite effetuate (cone guide esperte) dal 2000 ad oggi.
Altre immagini di quel disastro sono riportate dai Sergey Koshelev che è stato tra i pochi a entrare all’interno del reattore numero 4 della centrale nucleare.
Orma non si contano qiù le volte che quest'uomo ha sfiorato pericolo estremo, quello delle radiazioni,
che non ha odore né colore. Una minaccia letale che ha
lasciato perfino i segni nelle riprese fatte da Sergey. Si presenta sotto
forma di puntini bianchi e stringhe gialle impressi sulla pellicola,
accompagnati dal ticchettio del dosimetro che si fa sempre più veloce
quanto più è alto il livello delle radiazioni. Sergey racconta: “Nel 1986 stavo finendo
il servizio militare nel corpo degli ingegneri a Korolev, vicino Mosca.
Era un momento strano della mia vita, un periodo di passaggio. Avevo
appena divorziato e così, quando chiesero dei volontari per andare a
Chernobyl, decisi di andare. Eravamo io e un altro ragazzo. Lui partì
qualche mese prima e una volta lì mi rassicurò dicendomi che ormai era
tutto tranquillo e che la paga era buona. Così feci le valigie e via.” La sua vita cambio radicalmente da quella volta. “Già un anno dopo, il collega che mi aveva preceduto era morto. Si era
impiccato, lasciando scritte poche parole su un foglio di carta: «Non
posso più sopportarlo»”. Quel giovane non riusciva più a vivere con i
fortissimi mal di testa che lo accompagnavano ininterrottamente ormai da
quando, per la prima volta, aveva messo i piedi sul tetto del reattore. Nonostante avesse spesso lamentato ai medici il suo malessere, nessuno
lo aveva ascoltato. “La sua salute – secondo i dottori – era perfetta.
Era infatti proibito anche solo parlare di patologie associate a
Chernobyl”. Ciò non fermo Sergey che arrivò alla centrale vestito come tutti i giorni, privo di ogni protezione. Cosi, nel caos dell'emergenza, fu nominato video operatore. Il suo compito era quello di documentare ciò che era accaduto e per far ciò sarebbe dovuto entrare nel reattore esploso. Cosi nel 1988 fu mandato per la prima volta nel cuore dei impianto, quel luogo che ha cambiato la vita a milioni di persone. Fu uno dei primi ad entrare e a riprendere il reattore numero 4. “Ricordo il panico, la prima volta che entrai. Tutto il mio corpo iniziò
a tremare, sentivo un caldo incredibile venire dal pavimento. Come se
uscisse dall’inferno. Allora mi dissero: «Hai 200 Röntgen all’ora sotto
ai tuoi piedi». 250 Röntgen sono sufficienti ad uccidere un uomo nel 50 percento dei casi. "Lì dentro non c’era spazio per le emozioni, dovevi solo fare il tuo
lavoro nel minor tempo possibile. E dovevi farlo spesso anche
gattonando, in mezzo al corium – il fluido nucleare fuori uscito dal
nucleo, ora solidificato – che travolse come lava tutto quello che c’era
nell’unità 4”. Un lavoro delicato che Sergey ha fatto per moltia anni, mentre
vedeva morire, tutti i suoi colleghi. Tra questi anche il
suo amico Alexey Nenagliadov, ucciso da radionucludi come cesio 137,
stronzio 90 e plutonio. Una delle esperienze pietrificanti si materializzò quando, durante una
delle sue uscite, restò solo dentro al reattore. “Mi ero fermato per
fare delle riprese a delle stalattiti che si erano formate con la
solidificazione del fluido nucleare; così non mi sono accorto che i miei
colleghi si erano allontanati. A un certo punto si fece tutto buio
perché si era improvvisamente spenta la batteria della telecamera.
Ancora oggi non so come ho fatto a trovare la via d'uscita, mi muovevo a
fatica tra i detriti, cadevo, sbattevo la testa... Sono stati degli
attimi terrificanti”.
Video:
ProgettoHumus- viaggio nel reattore di Chernobyl 2
ProgettoHumus- viaggio nel reattore di Chernobyl 3
ProgettoHumus- viaggio nel reattore di Chernobyl 4
ProgettoHumus- viaggio nel reattore di Chernobyl 5
ProgettoHumus - Nel sarcofaco
Ma la paura era tanta. Una paura che in un’occasione si è trasformata in panico racconta cosi sua moglie:
“Una volta Sergey è tornato a casa con il collo e la schiena coperti
dalle polveri radioattive. mi diceva di stare calma, di non avere paura.
Aveva provato a pulire il suo corpo già alla centrale, ma non c’era
riuscito. Io presi il dosimetro che tenevamo a casa, lo passai vicino al
suo collo e in quel momento mi accorsi che era totalmente contaminato”.
Luda racconta quei momenti mantenendo il controllo. Sembra che tutto
questo appartenga, per lei, al passato o forse a un brutto sogno.
“Iniziai a sfregargli la schiena e il collo con una spugna imbevuta
d’acqua. Ma niente, quelle polveri erano sempre lì, attaccate a Sergey.
Allora presi l’alcol e iniziai a grattare forte, sempre più forte.
Piangevo e grattavo. E lui avvertiva la mia agitazione, la mia paura”.
“Sentivo le sue lacrime che cadevano sulla mia schiena” aggiunge, con un
filo di voce.
Nel 1987 arriva Artur Korneyev oggi Sessantasettenne, con rughe sul
viso che lo fanno apparire forse più vecchio. Un uomo legato alla vecchia tradizione sovietica, in cui non c’era spazio per la riflessione.
Bisognava eseguire i comandi e amare il partito. Artur di origine del Kazaka fu chiamato per la sua conoscenza quando all’epoca era
uno dei pochi a conoscere l’atomo e la sua forza distruttiva. “Arrivai a
Chernobyl nel 1987. Dovevo misurare il livello di radioattività
all’interno dell’unità 4 per evitare così che gli altri lavoratori
assorbissero dosi eccessive”.
Racconta Korneyev: “Ho sempre cercato di fare attenzione, ma c’erano pezzi di
corium ovunque e mi è capitato di doverli spostare usando una pala,
altre volte dando semplicemente un calcio con il piede”. Artur Korneyev
si è subito accorto che il sarcofago non era adeguato a proteggere tutto
il materiale radioattivo nascosto al suo interno. Per questo più volte
segnalò la gravità della situazione a esperti occidentali affinché fosse
avviato un processo di stabilizzazione della struttura. “Le radiazioni
sovietiche sono le migliori al mondo” conclude Korneyev. Una risata
amara, qui a Chernobyl, dove migliaia di persone hanno lavorato per
limitare le conseguenze del disastro. E in molte sono morte negli anni
sucessivi al 1986.
Ora a trent'anni dal disastro, i residenti delle zone contaminate che circondano i resti della
centrale sono ancora pericolosamente esposti ad alti livelli di
radiazioni, soprattutto nel cibo che mangiano.
La contaminazione dei cibi prodotti in Ucraina, misurando il livello degli isotopi radioattivi, è significativamente
più alta, in alcuni casi fino a 16 volte del limite per il consumo
umano. I risultati dello studio sono stati diffusi da un rapporto di
Greenpeace.
Shawn-Patrick Stensil, analista di
Greenpeace e co-autore del rapporto ha dichiarato che "Questi disastri continuano non solo per decine o centinaia di anni,
ma forse per millenni,". "Abbiamo rilevato livelli di
contaminazione ancora molto più alti dei limiti accettabili."
Secondo
l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'incidente di Chernobyl,
avvenuto il 26 aprile 1986, ha rilasciato livelli di radioattività 200
volte superiori alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
I ricercatori ritengono che l'isotopo nucleare cesio-137 sia
particolarmente preoccupante, visto che viene assorbito facilmente dalle
piante. Livelli alti di questo isotopo sono stati individuatinel latte,
nei funghi selvatici e nella carne. Preoccupanti sono anche gli incendi, che hanno rilasciato molte particelle contaminate, se ne contano circa un migliaio nella zona di Chernobyl.
I problemi economici in Ucraina impediscono a molte persone di
evitare il cibo contaminato. Secondo i dati della Banca Mondiale,
l'economia del paese si è contratta del 12 per cento nel 2015. Una
ribellione pro-Russia nell'est del paese ha contribuito a ridurre le
risorse del paese. Stando al rapporto, molti programmi di monitoraggio
lanciati post-Chernobyl per misurare i livelli di contaminazione
radioattiva sono stati sospesi per motivi economici.
"Per
monitorare il cibo nel lungo termine ci vogliono tanti soldi," ha detto
Stensil. "Quindi molte di queste questioni sono politiche."
Migliaia di bambini, anche quelli nati 30 anni dopo il disastro, bevono ancora regolarmente latte contaminato.
L'incidenza dei tumori alla tiroide nei bambini che vivono in Ucraina, e
che sono stati esposti alle radiazioni dopo il disastro di Chernobyl, è
9,7 volte più alta di quelli che non sono stati esposti.
I ricercatori ammettono di non sapere ancora quale possa essere
l'impatto nel lungo termine dei disastri nucleari. "Stiamo facendo degli
esperimenti su due gravi incidenti per capire come i radioisotopi si
spostano nell'ambiente col passare del tempo," facendo riferimento al disastro di Chernobyl e a quello di Fukushima
avvenuto in Giappone nel 2011. "Stiamo scoprendo che ci vorranno
generazioni perché questi radioisotopi siano nuovamente stabili. In
tutto questo tempo, i sopravvissuti che vivono nella zona saranno ancora
a rischio."
Gli effetti di questi disastri sono irreversibili, dal punto di vista
ambientale e da quello sociale, sarebbe opportuno che la gente prenda coscienza del problema visto che abbiamo le soluzioni
che possono sostituire l'energia nucleare e dovremmo usarle.
Fonti: news.vice.com , ansa.it
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