Dormi tranquillo lascia che a controllare il tuo bimbo ci pensino loro:
Alzi la mano chi non ha provato tenerezza nell’osservare i soggetti di queste foto. Ma cosa suscita in noi questo sentimento e perché? La chiamano cute-mania
(dall’inglese cute, carino) ed è un fenomeno dilagante che ha radici
profonde nella nostra natura e implicazioni ben più rilevanti di quanto
possiamo immaginare. Se troviamo irresistibili i cuccioli è per via di
un meccanismo innato di conservazione della specie che si è sviluppato
nel corso di milioni di anni, come già Charles Darwin aveva intuito.
I ricercatori sostengono che nell'uomo la soglia della tenerezza è posta
a un livello così basso da attivarsi e considerare tenero praticamente
qualsiasi cosa somigli anche lontanamente a un bambino o a una sua
caratteristica fisica, il che lo porta a includere in questa categoria i
cuccioli di tutti i mammiferi, gli uccelli dalla testa lanuginosa come
le gru del Giappone, i bruchi pelosi, una grande roccia rotonda poggiata
su una roccia più piccola, due punti, un trattino e una parentesi
chiusa scritti in successione.
Maggiore è il numero d'indizi di tenerezza che un animale o un oggetto possiedono, più forte e impetuosa sarà l'emozione da essi provocata. I ricercatori affermano che il tenero è un concetto distinto dalla bellezza in quanto esalta il tondo rispetto allo spigoloso, l'elemento delicato rispetto a quello troppo raffinato, il goffo più che il veloce. La bellezza attira ammirazione e ha bisogno di un piedistallo; il tenero invece attrae affetto e chiede solo una carezza. La bellezza è rara e disumana, messa in crisi da un piccolo brufolo. Il tenero è comune e benevolo, e non disdegna di accompagnarsi con la semplicità.
Maggiore è il numero d'indizi di tenerezza che un animale o un oggetto possiedono, più forte e impetuosa sarà l'emozione da essi provocata. I ricercatori affermano che il tenero è un concetto distinto dalla bellezza in quanto esalta il tondo rispetto allo spigoloso, l'elemento delicato rispetto a quello troppo raffinato, il goffo più che il veloce. La bellezza attira ammirazione e ha bisogno di un piedistallo; il tenero invece attrae affetto e chiede solo una carezza. La bellezza è rara e disumana, messa in crisi da un piccolo brufolo. Il tenero è comune e benevolo, e non disdegna di accompagnarsi con la semplicità.
"La gente vive una vita frenetica e a volte stressante ma quando guarda
questo animale morbido e lento, vede questo gigante gentile che si gira
sulla schiena e mostra la pancia per farsi grattare". "Suscita grande
tenerezza - dichiara il Dr. Reed - così, anche se un lamantino è tre
volte più grosso di un uomo e pesa 20 volte di più, tutto quello che
vogliamo è buttarci in acqua e giocare con lui".
È gioco facile, per chi voglia attirare l'attenzione e far piacere qualcosa alla gente, usare la cutemania. Molti responsabili di case pubblicitarie approfittano delle forme che conquistano i nostri sensi per dare un appeal immediato alle loro merci, giocando sul fattore cute e scimmiottando le forme umane. I meccanismi studiati nel marketing portano alla produzione di prodotti come bambole o pupazzi o anche automobili. Ma sono usati anche nei messaggi pubblicitari: ricercatori dell'università del Michigan hanno rilevato che campagne contro il fumo studiate per i più giovani funzionano molto meglio se basate su immagini di piccoli pinguini od orsetti polari. "I ragazzini ripongono molta più fiducia nelle immagini dei cartoni animati che nel messaggio in sé", osserva Sonia Duffy, capo ricercatrice dello studio pubblicato sulla rivista di medicina infantile e pediatrica.
Tutto ciò ha fondamenti scientifici. Guardate un bambino: il cranio è particolarmente grande poiché deve contenere un cervello in espansione; occhi e orecchie sono poste nella parte inferiore della testa poiché, con lo sviluppo, si riassesteranno. La posizione frontale degli occhi rispecchia l'evoluzione dei nostri antenati che vivevano sugli alberi e molti dei protagonisti dei cartoni animati Disney riprendono questa caratteristica anche se topi o paperi hanno occhi posti ai lati del cranio. La cartilagine del naso dei bambini è tenera per permettere la crescita dell'organo, così come la pelle è particolarmente elastica e trasmette quel senso di rotondità che piace tanto agli adulti.
È gioco facile, per chi voglia attirare l'attenzione e far piacere qualcosa alla gente, usare la cutemania. Molti responsabili di case pubblicitarie approfittano delle forme che conquistano i nostri sensi per dare un appeal immediato alle loro merci, giocando sul fattore cute e scimmiottando le forme umane. I meccanismi studiati nel marketing portano alla produzione di prodotti come bambole o pupazzi o anche automobili. Ma sono usati anche nei messaggi pubblicitari: ricercatori dell'università del Michigan hanno rilevato che campagne contro il fumo studiate per i più giovani funzionano molto meglio se basate su immagini di piccoli pinguini od orsetti polari. "I ragazzini ripongono molta più fiducia nelle immagini dei cartoni animati che nel messaggio in sé", osserva Sonia Duffy, capo ricercatrice dello studio pubblicato sulla rivista di medicina infantile e pediatrica.
Tutto ciò ha fondamenti scientifici. Guardate un bambino: il cranio è particolarmente grande poiché deve contenere un cervello in espansione; occhi e orecchie sono poste nella parte inferiore della testa poiché, con lo sviluppo, si riassesteranno. La posizione frontale degli occhi rispecchia l'evoluzione dei nostri antenati che vivevano sugli alberi e molti dei protagonisti dei cartoni animati Disney riprendono questa caratteristica anche se topi o paperi hanno occhi posti ai lati del cranio. La cartilagine del naso dei bambini è tenera per permettere la crescita dell'organo, così come la pelle è particolarmente elastica e trasmette quel senso di rotondità che piace tanto agli adulti.
“La tenerezza che suscitano negli adulti è la più grande arma di
sopravvivenza dei nuovi nati: da un lato, li mette al riparo dalle
aggressioni esterne e, dall’altro scatena una risposta istintiva di
protezione e accudimento” spiega Giorgio Vallortigara, direttore del
Centro mente e cervello dell’Università di Trento. A indurre queste
reazioni sono caratteristiche ben precise, comuni a numerose specie, di
fronte alle quali anche il più cinico degli individui sulla terra si
scioglie. Testa tonda, fronte convessa, occhi grandi, naso schiacciato,
guance paffute, arti cicciotti. Ma anche comportamento giocherellone,
modi goffi, vagiti. E’ quello che il padre dell’etologia moderna, e
Premio Nobel, Konrad Lorenz nel 1949 definì “baby schema” (o
Kindchenschema), cioè l’insieme dei tratti inconfondibili che indicano
immaturità, giovinezza, vulnerabilità e spingono i genitori a prendersi
cura dei figli. “Crescendo queste caratteristiche si perdono e
“l’effetto carino” tende a scomparire” sottolinea Vallortigara, ma ormai
il peggio è scampato, ci si può difendere da soli. Questo sistema, che
si è evoluto per assicurare la tutela ai propri cuccioli, funziona in
realtà a largo spettro. “Vale verso tutti i cuccioli, ed è così potente
da consentire le “adozioni” tra specie diverse, come i casi estremi di
bambini cresciuti dai lupi, o i più frequenti episodi di cani che
allevano micetti e viceversa” dice Enrico Alleva, etologo e accademico
dei Lincei.
E’ probabile che la sensibilità ai
richiami infantili, spiccata in uccelli e mammiferi, fosse già presente
all’epoca dei dinosauri: sono stati rinvenuti nidi con resti di gusci
fossili, risalenti a 75 milioni di anni fa, costruiti dalla maiasaura
(il cui nome significa “buona madre lucertola”), prova di quanto siano
antiche le cure parentali. Negli Stati Uniti è stato ritrovato il cranio
di un giovanissimo triceratopo, il dinosauro con l’aspetto da
“rinoceronte preistorico”, con la testolina ridotta, due occhioni grossi
e tre mini cornetti: doveva apparire super grazioso con quelle
caratteristiche infantili…Secondo Kenneth McNamara, paleontologo
dell’Università di Cambridge, i tratti pedomorfici, cioè fanciulleschi,
si sarebbero sviluppati addirittura nei trilobiti, creature che
popolavano i mari 500 milioni di anni fa. “Ma è la specie umana quella
più suscettibile al “fattore carino” dice Alleva, e non è un caso visto
quanto i neonati hanno bisogno di assistenza. Se abbiamo una soglia
della tenerezza bassissima (ragion per cui ci piace qualunque cosa
dell’aspetto “cucciolesco”) è perché ci aiuta ad affrontare meglio i
primi faticosi anni di vita dei bebè. Altrimenti saremmo già belli che
estinti.
E’ tutto programmato nel nostro cervello.
Ci sono specifici circuiti cerebrali che si accendono quando esclamiamo
“che carino!”: la corteccia orbitofrontale, specializzata
nell’elaborazione degli stati mentali altrui, e l’amigdala, il regno
delle emozioni, “una struttura collegata al sistema della ricompensa”
specifica Vallortigara. “Nell’amigdala agisce la dopamina, il messaggero
chimico del piacere, lo stesso sprigionato dalle sostanze
stupefacenti”.
Si spiegano tante cose. Perché, per esempio la cute-mania dia dipendenza (quante ore si perdono su Internet guardando video di gattini?). Ma anche la gratificazione che un genitore prova nell’accudire un figlio, nonostante i sacrifici. Vale soprattutto per le donne, la cui percezione del carino, almeno in età fertile, è amplificata per effetto degli ormoni sessuali. “Progesterone, estrogeni, ossitocina rafforzano i circuiti neurali che predispongono alla cura della prole” conferma Piergiorgio Strata, professore di neurofisiologia all’Università di Torino. L’aspetto meno poetico della faccenda è che, in entrambi i sessi, questa propensione è tanto più forte quanto più il piccolo appare carino. Il cervello impiega 130 millisecondi per reagire alla vista di un neonato, hanno cronometrato Morten Kringelbach e Alan Stein dell’Università di Oxford. Ma, se si misura il tipo e l’intensità della reazione emotiva, si vede che un bel bebè conquista più coccole rispetto a uno meno attraente: il risultato è stato documentato da Melanie Glocker dell’Università della Pennsylvania, con un test nel quale volti di bimbi in cui erano accentuate le caratteristiche del baby schema sono stati valutati come più carini e hanno suscitato più voglia di prendersi cura dei pupi.
Si spiegano tante cose. Perché, per esempio la cute-mania dia dipendenza (quante ore si perdono su Internet guardando video di gattini?). Ma anche la gratificazione che un genitore prova nell’accudire un figlio, nonostante i sacrifici. Vale soprattutto per le donne, la cui percezione del carino, almeno in età fertile, è amplificata per effetto degli ormoni sessuali. “Progesterone, estrogeni, ossitocina rafforzano i circuiti neurali che predispongono alla cura della prole” conferma Piergiorgio Strata, professore di neurofisiologia all’Università di Torino. L’aspetto meno poetico della faccenda è che, in entrambi i sessi, questa propensione è tanto più forte quanto più il piccolo appare carino. Il cervello impiega 130 millisecondi per reagire alla vista di un neonato, hanno cronometrato Morten Kringelbach e Alan Stein dell’Università di Oxford. Ma, se si misura il tipo e l’intensità della reazione emotiva, si vede che un bel bebè conquista più coccole rispetto a uno meno attraente: il risultato è stato documentato da Melanie Glocker dell’Università della Pennsylvania, con un test nel quale volti di bimbi in cui erano accentuate le caratteristiche del baby schema sono stati valutati come più carini e hanno suscitato più voglia di prendersi cura dei pupi.
Questo è coerente con altre ricerche, come uno
studio dell’Università di Oxford che ha indagato le conseguenze
sull’affettuosità verso bimbi con deformazioni del viso, come il labbro
leporino. “Purtroppo, una piccola alterazione nello schema facciale può
fare una grande differenza per le cure parentali” hanno commentato gli
autori. Comunque, non è solo tenerezza ciò che i piccoli più carini
ispirano nei grandi. C’è anche un po’ di innocua aggressività (la voglia
di “stritolarli” di baci), che è l’altra faccia della medaglia –
spiegano all’Università di Yale – delle intense emozioni negative. Altri
esperimenti hanno osservato che di fronte a un paffuto esserino
aumentano la concentrazione, l’allerta e le performance cognitive: è una
specie di doping naturale […].
Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 256 – Febbraio 2014
Fonte: Repubblica.it
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