Articolo tratto da: http://leganerd.com/2014/12/04/il-viaggio-interstellare/
La possibilità del viaggio
interstellare ha affascinato generazioni di appassionati di fantascienza e
scienziati.
È un elemento alla base di innumerevoli saghe
fantascientifiche, tanto letterarie quanto televisive o cinematografiche e
ci siamo così abituati a questa idea da ritenerla un’inevitabile e forse
addirittura imminente passo dell’esplorazione spaziale.
È una
sfida che comporta diversi problemi ora insormontabili.
La realtà è però ben diversa perché la tecnologia
necessaria per realizzare questo sogno è molto al di là di quella attuale.
È una sfida che comporta diversi problemi ora insormontabili, la cui
soluzione richiederà verosimilmente molto, molto tempo, tanto che è difficile
immaginare che venga risolta nell’arco della nostra vita.
Nella più ottimistica delle ipotesi ci vorranno molti
decenni perché sia realizzata la prima missione unmanned e forse secoli perché venga
realizzata la prima con equipaggio.
Ora, nell’analizzare i problemi correlati con il
viaggio interstellare lasciamo per un attimo da parte tutte quelle soluzioni
che sappiamo attualmente essere non impossibili, ma che al momento sono
puramente speculative (warp drive, wormhole, ecc.) e
analizziamo il problema solo dal
punto di vista di ciò che sono le attuali conoscenze scientifiche, di ciò che
si sa ora essere possibile.
In pratica tutto quello che ricadrebbe nel sottogenere
della fantascienza hard, cioè scientificamente plausibile.
Le distanze
Prima di
tutto bisogna però comprendere quanto immense siano le distanze interstellari.
Rappresentazione in scala esponenziale
La stella più vicina al sole è la piccola e longeva
Proxima Centauri, a 4,23 anni luce.
Però, forse questo non rende bene l’idea della reale distanza, in fondo
siamo abituati a film e serie TV sci-fi in cui gli anni luce vengono percorsi
come fossero chilometri, in pochi giorni o addirittura ore, se non in un
istante (con un balzo nell’iperspazio) e per comprendere meglio questa distanza
è forse meglio ricorrere ad un esempio in scala.
Immaginiamo di essere allo stadio di San Siro a Milano, che il Sole si trovi al centro del campo di gioco e che la Terra gli orbiti intorno lungo il cerchio di centrocampo, ebbene allora rimanendo in scala la Luna orbiterà intorno alla Terra a meno di 3 cm, Marte passerà ad una distanza minima di poco meno di 3,5 m da noi, Nettuno, il pianeta più esterno del Sistema Solare, orbiterà già poco al di fuori dello stadio a non meno di 272 m da noi, mentre Proxima Centauri, la nostra vicina stellare, si troverà (andando verso sud) in pieno deserto del Sahara, a sud della Tunisia a più di 2455 km da noi.
Ora, considerando che la sonda Voyager 1, in questo momento il più lontano e veloce (velocità eliocentrica) oggetto costruito dall’uomo, impiega più di 2 ore a percorrere 1 cm in questa scala e che le missioni Apollo impiegavano addirittura 1 giorno a percorrere 1 cm, si può forse comprendere quale incredibile impresa tecnologica sarebbe inviare anche solo una piccola sonda automatizzata verso un’altra stella, in tempi umani almeno.
Immaginiamo di essere allo stadio di San Siro a Milano, che il Sole si trovi al centro del campo di gioco e che la Terra gli orbiti intorno lungo il cerchio di centrocampo, ebbene allora rimanendo in scala la Luna orbiterà intorno alla Terra a meno di 3 cm, Marte passerà ad una distanza minima di poco meno di 3,5 m da noi, Nettuno, il pianeta più esterno del Sistema Solare, orbiterà già poco al di fuori dello stadio a non meno di 272 m da noi, mentre Proxima Centauri, la nostra vicina stellare, si troverà (andando verso sud) in pieno deserto del Sahara, a sud della Tunisia a più di 2455 km da noi.
Ora, considerando che la sonda Voyager 1, in questo momento il più lontano e veloce (velocità eliocentrica) oggetto costruito dall’uomo, impiega più di 2 ore a percorrere 1 cm in questa scala e che le missioni Apollo impiegavano addirittura 1 giorno a percorrere 1 cm, si può forse comprendere quale incredibile impresa tecnologica sarebbe inviare anche solo una piccola sonda automatizzata verso un’altra stella, in tempi umani almeno.
Abbiamo già lanciato cinque sonde che
percorreranno distanze interstellari.
Va infatti sottolineato che abbiamo già lanciato cinque sonde (Voyager
1 e 2, Pioneer 10 e 11, New Horizons) che superata la velocità di fuga dal Sole
percorreranno distanze interstellari, ma lo faranno in tempi incredibilmente
lunghi.Voyager 1 ad esempio, che ha raggiunto la già strabiliante distanza di 18 ore luce dal Sole, passerà vicino alla Stella di Barnard fra più di 84000 anni.
Sono tempi di viaggio così lunghi che bisogna tener conto nei calcoli perfino del moto relativo delle stelle.
Qui possiamo infatti aprire una piccola parentesi, perché Proxima Centauri non è sempre stata e non sarà sempre la stella più vicina al Sole, anzi, tra “appena” 31000 anni la stella più vicina sarà la Stella di Barnard, che arriverà poi in altri 3000 anni fino a 3 anni luce da noi e c’è un’altra stella, Gliese 710, che ora dista 63,8 a.l. e che in 1,4 milioni di anni arriverà addirittura ad appena poco meno di 1 a.l., tanto vicino da perturbare gravitazionalmente il nostro Sistema Solare (preparatevi, Nemesis sta arrivando…)Il nostro vicinato cosmico
Entro un raggio di distanza di (appena) 20 anni luce da noi ci sono 59 sistemi stellari e complessivamente 81 stelle.Intorno a molte di queste è già stata confermata la presenza di esopianeti, diversi giganti gassosi, ma anche alcuni pianeti rocciosi che si trovano nella fascia di abitabilità del sistema.
Diverse di queste stelle hanno veri e propri sistemi planetari, come Tau Ceti e probabilmente Epsilon Eridani.
Quello
di Epsilon Eridani è un sistema molto popolare nel campo sci-fi. Vi si trovano
ad esempio il pianeta Reach (Halo), Vulcano (questione dibattuta) e la stazione
Babylon 5, inoltre come direbbe Adam Kadmon, è il luogo di provenienza dei
Grigi…
Nel 2012 è stato scoperto un pianeta roccioso che orbita intorno ad Alpha Centauri B.
Il pianeta Alpha Centauri Bb Pandora
è verosimilmente non abitabile, gli astronomi sospettano infatti che abbia
l’intera superficie fusa, ma è un ulteriore indizio di quanto comuni siano i
pianeti nell’Universo, non solo giganti gassosi, ma anche piccoli pianeti rocciosi
come il nostro.
Questo aumenta notevolmente la possibilità che un
giorno non lontano (con l’attuale o prossima generazione di telescopi) venga
individuato un pianeta roccioso e nella zona di abitabilità del sistema, con
caratteristiche molto simili alla Terra (in particolare presenza di acqua
liquida) in un sistema stellare distante magari non più di poche decine di anni
luce.
In tal caso questo ipotetico pianeta sarebbe la più
ragionevole meta del primo viaggio umano interstellare, ammesso che venga mai
realizzato.
Ovviamente ricordiamoci che stiamo parlando di quello che è veramente il
nostro vicinato cosmico, la manciata di stelle a noi più vicina, su un raggio
di distanza di poche decine di anni luce all’interno di una Galassia a spirale
del diametro di 100000 anni luce e con un numero di stelle totale compreso fra
cento e quattrocento miliardi.
Se però come detto nella premessa, non prendiamo in considerazione i metodi
più speculativi, allora per qualche secolo almeno dovremo accontentarci di
esplorare questo nostro “vicinato cosmico”. Forse però in questo ragionamento
non si tiene conto di un fattore potenzialmente molto importante che ora
vedremo.
La dilatazione temporale
Tenendo conto del limite invalicabile (e irraggiungibile) della velocità della
luce, si potrebbe concludere che indipendentemente dal sistema di propulsione
sia impossibile per un uomo compiere un viaggio di più di poche decine di a.l.
nell’arco della propria vita.
In realtà in questo ragionamento si trascura una variabile importante e cioè la dilatazione del tempo in funzione della velocità.
Come previsto dalla teoria della relatività speciale e poi verificato
sperimentalmente, man a mano che ci si avvicina alla velocità della luce
infatti il tempo si dilata rispetto ad un osservatore esterno.
- Δt= intervallo di tempo sulla Terra
- Δt’= corrispondente intervallo di tempo sull’astronave
- v= velocità dell’astronave
- c= velocità della luce
- ϒ= Δt/Δt’= fattore di Lorentz
Questo
potrebbe non voler dire molto per una missione automatica, ma potrebbe essere
fondamentale per una con equipaggio.
Per un
equipaggio che viaggia ad una velocità prossima a quella della luce il tempo
potrebbe trascorrere molto più lento rispetto alla Terra.
Ammesso di
trovare un sistema di propulsione adeguato, per un equipaggio che viaggia ad
una velocità prossima a quella della luce il tempo potrebbe trascorrere molto
più lento rispetto alla Terra.
Anche se può
apparire strano, l’equipaggio percorrerebbe 1 a.l. in un tempo che per gli
orologi di bordo sarebbe inferiore a 1 anno e il tutto perfettamente in accordo
con le leggi fisiche conosciute.
Con
un’accelerazione costante di circa 1g ci si potrebbe portare a una velocità
molto prossima a quella della luce in circa un anno (simulando tra l’altro
efficacemente la gravità terrestre) e sarebbero così possibili viaggi anche di
molte decine di a.l. in un tempo compatibile con la durata di vita di un uomo.
In realtà
non c’è limite alla lunghezza della missione, basta avvicinarsi
sufficientemente alla velocità della luce e la dilatazione temporale può
permettere di percorrere anche migliaia di anni luce.
- Dilatazione temporale gravitazionale (wikipedia.it)
Ovviamente
il sistema ha però diversi punti deboli, ad esempio si tratterebbe comunque di
missioni di sola andata in quanto tornando a casa, con un notevolissimo
dispendio energetico, si troverebbe un mondo molto diverso da quello che si è
lasciato, in cui tutte le persone care sono morte e in cui magari potrebbero
persino essersi da tempo dimenticati della missione.
Ma questo
riguarda le motivazioni e non i limiti imposti dalla fisica, il vero problema
sarebbe ancora una volta trovare l’incredibile energia necessaria ad accelerare
una grande astronave a 1g per anni, anche perché avvicinandosi alla velocità
della luce man mano che il tempo si dilata, la massa del mezzo diventa sempre
più grande, richiedendo una quantità di energia sempre maggiore per avanzare di
velocità.
É una cosa
per noi oggi impensabile, ma fisicamente possibile.
Velocità, massa ed energia
Il primo problema che incontriamo è perciò quello di realizzare un adeguato
sistema di propulsione, che consenta a una sonda o astronave con equipaggio
d’acquisire una velocità sufficiente a coprire queste immense distanze in un
tempo ragionevole.
Bisognerà poi trovare l’energia necessaria e che in ogni caso sarà comunque
immensa e ben al di là di quella che è l’attuale produzione mondiale di
energia.
Per capire il problema dell’energia richiesta possiamo ora prendere in
considerazione un semplice esempio.
Con i razzi chimici attuali, per inviare un carico utile pari a un pulmino, verso una vicina stella anche in un tempo di 9 secoli, avremmo bisogno, incredibile ma vero, di una quantità di carburante superiore alla massa dell’intero Universo osservabile.
Se ai razzi chimici sostituissimo anche propulsori nucleari a reazione, a
fissione ed ancor meglio a fusione, la quantità di carburante necessaria
sarebbe comunque pari rispettivamente a un miliardo e 1000
superpetroliere. Decisamente poco pratico.
Passiamo allora ad un altro sistema di propulsione, già oggi realtà a
livello sperimentale, il motore a
ioni, in grado di fornire una spinta piccolissima, anche solo pari a pochi
grammi, ma per un tempo lunghissimo potendo così raggiungere, nel vuoto dello
spazio, velocità molto elevate.
In questo modo si potrebbe forse completare il viaggio con una massa di
carburante pari a quella di un treno. Prima di entusiasmarci troppo
ricordiamoci però che parliamo di un carico utile pari a un pulmino, di tempi
di viaggio neanche lontanamente compatibili con la durata di vita di un uomo e
che non abbiamo considerato il carburante necessario a “frenare” per fermarci a
destinazione, né tanto meno quello eventualmente necessario a tornare, ammesso
che abbia senso tornare da un viaggio così lungo.
La quantità di energia necessaria per inviare un carico utile pari ad uno
Space Shuttle verso la più vicina stella in mezzo secolo, con un sistema di
propulsione che ipoteticamente possa convertire direttamente l’energia in moto
è stimata in circa 7 x 10^19 J.
L’energia necessaria per raggiungere Proxima Centauri,
con un piccolo carico utile in 50 anni è stimata in almeno 7 x 10^19 J.
Ovviamente nessuno pensa di poter effettuare un viaggio verso Proxima
Centauri con un razzo a propellenti convenzionali come quelli di un Saturn V o
un Ariane 5, ma questo esempio mette in evidenza 2 problemi, il primo connesso
con la massa del veicolo e più precisamente la massa di carburante da portare
con sé e che costituisce una notevole “zavorra” per la missione ed il secondo
con l’incredibile quantità di energia richiesta.
La quantità di energia necessaria non può essere generata attraverso
semplici reazioni chimiche e bisognerà perciò ricorrere quantomeno a fissione o
fusione nucleare.
La fissione nucleare potrebbe essere usata direttamente per alimentare un
razzo a reazione con un getto ad altissima velocità di scorie della reazione
(propulsione fission fragment), consumando però così una quantità enorme di
carburante sul lungo periodo, oppure utilizzando la fissione per produrre
energia elettrica che a sua volta alimenterebbe un motore a ioni (propulsione
fission electric).
Entrambi i metodi potrebbero però essere molto utili per viaggi
interplanetari, ma inadeguati a missioni extrasolari.
Orion e Daedalus
Si potrebbe ricorrere allora alla fusione nucleare utilizzando quella che
viene definita propulsione nuclear pulse, proposta per la prima volta
tra gli anni ’50 e ’60.
In un’epoca in cui le armi nucleari sembravano costituire un concreta
minaccia per la sopravvivenza del genere umano, se ne propose un loro uso
pacifico per l’esplorazione spaziale.
In questo
progetto una serie continua di esplosioni termonucleari (circa 5 al secondo)
che avvengono subito dietro l’astronave, generano una forte spinta su di un
enorme scudo protettivo, permettendo così al mezzo di accelerare a notevoli
velocità.
Il sistema nuclear
pulse ricaverebbe la spinta necessaria ad accelerare la sonda, da una serie
di esplosioni nucleari.
Il sistema, Project Orion, era
stato proposto inizialmente per missioni umane verso Marte, ma fu ipotizzato
anche un suo utilizzo per missioni automatiche verso stelle vicine.
Il progetto
fu poi rivisitato negli anni ’70 dalla British Interplanetary Society,
pensandolo su scala più piccola e specificamente per missioni con piccole sonde
verso stelle vicine. In questo caso il sistema (Project Daedalus) avrebbe permesso di raggiungere
la Stella di Barnard in 50 anni, raccogliendo il carburante fusibile necessario
su Giove.
Ancor più recentemente (2009), sempre la British Interplanetary Society ha
proposto un altro progetto il cui intento è quello di ispirare futuri progetti
per il viaggio interstellare basati sulla possibile tecnologia nuclear
pulse.
É Icarus project, basato appunto sulla tecnologia
alla base dei precedenti Orion e Daedalus.
Degno di nota è però il fatto che il Partial Nuclear Test Ban Treaty del 1963, firmato da
USA e URSS, vieta esplosioni nucleari nello spazio, determinando di fatto
l’impossibilità di sperimentare questa tecnologia.
Ramjet Bussard
Un modo per aggirare il problema del carburante necessario per la
propulsione a fusione nucleare, è stato proposto dal fisico Robert
Bussard negli anni Sessanta.
Raccogliere
direttamente nello spazio, lungo il percorso di viaggio, l’idrogeno necessario
per la fusione nucleare.
Bussard ha
ipotizzato di raccogliere direttamente nello spazio, lungo il percorso di
viaggio, l’idrogeno necessario per la fusione nucleare tramite un sistema di
campi magnetici, eliminando così il problema di dover portare con sé immense
quantità di carburante e riducendo la massa del mezzo.
Questo
sistema viene definito Ramjet Bussard, ma recenti
studi ne hanno messo seriamente in dubbio la fattibilità, sostenendo che l’attrito
determinato dalla raccolta di idrogeno potrebbe essere superiore alla spinta
ottenuta.
Antimateria
Ma c’è un’altra reazione, la reazione materia-antimateria, in cui il
100% della massa si trasforma in energia, ottenendo così enormi quantità
di energia da piccolissime quantità di carburante.
Nessun’altra reazione chimica o nucleare si avvicina nemmeno
lontanamente a questo rendimento energetico, per confronto possiamo dire
che nella fusione nucleare si trasforma in energia circa il 1% della
massa.
Un razzo ad antimateria potrebbe avere una spinta ed un impulso
specifico molto elevati, permettendo ad un’astronave di raggiungere velocità
prossime a quelle della luce, potendo così beneficiare anche della dilatazione
temporale corrispondente.
Il problema
però è che non esistono quantità significative di antimateria in natura (se ne
generano continuamente piccolissime quantità in eventi astronomici molto
energetici, ma si annichilano venendo a contatto con la materia).
Secondo le
teorie attuali tutta l’antimateria presente nell’Universo si annichilò con la
materia pochi istanti dopo il Big Bang, lasciando solo quel piccolo residuo di materia
di cui è fatto tutto ciò che vediamo oggi nell’Universo.
L’antimateria
può essere attualmente prodotta negli acceleratori di particelle, ma in
quantità infinitesime e produrne anche solo pochi grammi è oggi del tutto
impensabile.
L’antimateria
viene attualmente prodotta negli acceleratori di particelle, ma in
quantità infinitesime e produrne anche solo pochi grammi è oggi del tutto
impensabile.
L’antimateria
andrebbe poi conservata accuratamente separata dalla materia, magari con campi
magnetici, altrimenti se ne finissero anche solo poche decine di nanogrammi
contro le pareti del serbatoio, l’astronave ne verrebbe distrutta.
In ogni
caso, anche ammesso di trovare una soluzione al reperimento e contenimento
sicuro dell’antimateria, rimarrebbero altri problemi da risolvere, infatti
nella reazione di annichilazione materia-antimateria una considerevole parte di
energia si disperderebbe sotto forma di neutrini e raggi gamma.
Sarebbe
perciò necessario proteggere l’equipaggio, con un’adeguata schermatura dal
continuo bombardamento di raggi gamma, altamente energetici e penetranti.
Le vele solari
C’è un sistema, realizzabile in tempi brevi su piccola scala, che potrebbe
permettere di raggiungere velocità elevatissime aggirando quello che è forse il
problema più grande della maggior parte dei sistemi proposti e cioè la necessità
di dover portare con sé immense quantità di carburante, a volte così grandi da
rendere improponibile il loro utilizzo.
Questo si ottiene utilizzando una fonte di energia
esterna, con il sistema delle vele solari, vere e proprie
vele dallo spessore inferiore a quello di un capello e dalla vastissima
superficie. Così come una barca a vela sfrutta la pressione del vento sulle
proprie vele, questo sistema sfrutta la pressione della luce su vele
riflettenti per ottenere la spinta necessaria.
Le vele
solari sfruttano una fonte di energia esterna, evitando così di dover
portare con sé il carburante.
La pressione generata dalla luce è veramente minima,
ma se applicata su grandi superfici e in modo costante nel tempo permette nel
vuoto dello spazio, in mancanza di attrito, di acquisire grandi velocità sul
lungo periodo.
All’interno del Sistema Solare la spinta può essere
data direttamente dalla luce del Sole, ma raggiunta una certa distanza da esso
la spinta diventa rapidamente irrilevante, questo perché l’intensità della luce
diminuisce in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Bisogna allora ricorrere a una fonte artificiale, come
ad esempio un potente laser. Per dare un’idea delle potenzialità, ma anche
limiti, del sistema si può portare ad esempio la vela solare proposta da Robert
Forward, uno dei pionieri in questo campo.
Con la vela
di Forward si potrebbe inviare una nave da 1000 ton a Proxima Centauri in 10
anni
In questo progetto un raggio laser potentissimo, della
potenza di 10 milioni di gigawatt viene fatto passare attraverso una lente di
Fresnel del diametro di 1000 km per poi andare a colpire una vela del diametro
appunto di 1000km, generando così la spinta necessaria. Questo sistema
permetterebbe di inviare un carico utile di 1000 tonnellate fino a Proxima
Centauri in 10 anni.
Anche qui però, non entusiasmiamoci troppo, perché il
problema, al di là di costruire strutture così grandi, è quello di realizzare
un laser tanto potente, così potente che consumerebbe 10000 volte quello che è
l’attuale consumo energetico mondiale.
Lo stesso Forward ha poi revisionato il progetto,
propendo di costruire una sonda direttamente integrata nella vela, costituita
da una rete di sottilissimo filo metallico, ampia 1 km. La massa totale della
vela-sonda sarebbe di appena 16 g (con un carico utile di 4 g) e sarebbe
necessario un laser a microonde da 10 GW, decisamente molto più fattibile del
precedente.
Nanosonde
Forse però stiamo
affrontando il problema dal punto di vista sbagliato, forse non dobbiamo realizzare
sistemi di propulsione sempre più potenti, ma dobbiamo piuttosto ridurre la
massa delle sonde. Più piccola è la massa della sonda e minore sarà l’energia
richiesta per accelerarla ad una data velocità.
Il punto è: di quanto
possiamo ridurre le dimensioni di una sonda spaziale?
I recenti sviluppi
nel campo delle nanotecnologie possono far ipotizzare che in futuro possa
essere possibile costruire dispositivi delle dimensioni di pochi miliardesimi
di metro in grado di svolgere funzioni straordinariamente complesse.
Si potrebbero costruire
sciami di milioni o miliardi di queste sonde da lanciare verso diversi sistemi
stellari vicini.
Vista la massa minima si
potrebbe accelerarle a una velocità anche prossima a quella della luce, potendo
così completare una missione interstellare in un tempo, dal momento del lancio
a quello della ricezione dei dati, di circa un decennio, un tempo paragonabile
a quello delle attuali missioni interplanetarie più lunghe.
Il problema delle
comunicazioni potrebbe essere risolto programmando lo sciame perché lasci
dietro di sé una scia di nanosonde a intervalli di spazio regolari, in modo da
creare di fatto un network interstellare di comunicazione.
Mi sembra ovvio dire
però, che anche qui stiamo parlando di tecnologie molto più avanzate di quelle
disponibili nel prossimo futuro.
Missioni a bassa velocità
Fino a qui abbiamo considerato sistemi di propulsione il cui obbiettivo primario è quello di far raggiungere all’astronave velocità il più elevate possibile, ma se non ci interessa la durata del viaggio, ma solo che qualche essere umano termini il viaggio colonizzando magari un esopianeta si potrebbe ricorrere allora a quelle che vengono definite navi generazionali.
Se ci
interessa solo arrivare e non quanto impieghiamo per farlo, allora si possono
considerare altri metodi
In sostanza si tratterebbe di immense navi, tanto
grandi da costituire colonie artificiali del tutto autosufficienti da ogni
punto di vista, in grado di trasportare centinaia, o meglio migliaia di persone
per secoli attraverso lo spazio interstellare, per giungere infine dopo molte
generazioni a destinazione.
Certo anche senza entrare nel merito delle motivazioni
che potrebbero spingere una vasta comunità di persone a dire addio alla Terra
per trascorrere il resto della propria vita nello spazio, viene comunque da
chiedersi se sia conveniente da un punto di vista delle risorse necessarie.
Infatti con l’energia necessaria ad accelerare un mezzo dalle dimensioni così colossali
ad una velocità anche relativamente bassa (ma comunque sufficiente a
raggiungere un’altra stella in tempi non geologici) si potrebbe forse spingere
una piccola nave, con poche persone d’equipaggio ad una frazione significativa
della velocità della luce.
Se però in futuro venisse messa a punto una
tecnologia che ci permette di rallentare di molto le funzioni vitali, il
metabolismo di una persona per lunghi periodi di tempo (animazione sospesa), allora diverrebbe possibile
progettare missioni a velocità relativamente bassa, eliminando gran parte dei
problemi connessi alle navi generazionali.
C’è un’altra variante poi del viaggio in animazione
sospesa, infatti se lo scopo della missione è quello di colonizzare un lontano
esopianeta, si potrebbe pensare di inviare non astronauti, ma embrioni umani
congelati.
Questo ovviamente richiede però tecnologie
estremamente avanzate, con sistemi automatici che giunti a destinazione
permettano lo sviluppo degli embrioni e poi garantiscano l’accudimento e
perfino l’educazione dei primi bambini “extraterrestri”.
Con o senza equipaggio?
Mi sembra ovvio dire che una missione automatica sia incredibilmente
più semplice di una con equipaggio. Questo è vero per le missioni
interplanetarie attuali e lo sarà a maggior ragione per quelle
interstellari, viste le distanze e i tempi in gioco.
Questo perché in una missione con equipaggio bisogna garantire la
sopravvivenza e sicurezza degli astronauti in un ambiente estremamente
ostile, tra mille pericoli che vanno dal bombardamento di raggi cosmici,
alla presenza di polveri sul percorso di viaggio.
Vista infatti le velocità che stiamo considerando e quindi la
relativa energia cinetica, anche un piccolo granello di sabbia sarebbe
fatale per la missione se collidesse con l’astronave in movimento.
Anche un
granello di sabbia sul percorso di viaggio potrebbe essere fatale per la
missione
Perciò sarebbe necessario quantomeno tracciare
un’accurata traiettoria di uscita dal Sistema Solare, in modo da evitare le
zone maggiormente a rischio, nella speranza che poi nello spazio interstellare,
che è sì vuoto, ma non assolutamente vuoto, non si incontri nulla sul proprio
percorso.
Sarà poi necessario simulare in qualche modo la
gravità terrestre, perché non è pensabile rimanere in assenza di peso per molti
anni o addirittura decenni ed è necessaria un’astronave totalmente
autosufficiente e probabilmente di notevoli dimensioni, incrementando così
drasticamente la massa da accelerare e il relativo dispendio energetico.
Alcuni di questi problemi andranno affrontati già a
breve, nei futuri viaggi umani verso Marte e diverse soluzioni sono allo
studio, come moduli rotanti per simulare la gravità con la forza centrifuga o
schermi protettivi con intercapedini piene d’acqua per schermare l’equipaggio
dai raggi cosmici e dal vento solare.
Fondamentale sarà poi ideare ambienti artificiali
totalmente autosufficienti per periodi di tempo lunghissimi, praticamente
piccoli ecosistemi autonomi. Le stesse soluzioni studiate oggi per le prossime
missioni umane nel Sistema Solare serviranno quindi poi in un lontano futuro
per le missioni interstellari.
C’è però da fare una considerazione importante,
infatti visti i progressi nel campo dell’elettronica e robotica, molti
scienziati si sono chiesti se abbia senso inviare esseri umani nelle missioni
spaziali, visto che le sonde automatiche possono svolgere autonomamente ogni
genere di analisi, non richiedono acqua e cibo, non incorrono in problemi
psicologici e soprattutto non comportano tutti i problemi connessi con il dover
garantire la sicurezza di un equipaggio.
Questo è in parte vero già oggi e lo sarà ancor di più
in futuro, ma ovviamente fondamentale è lo scopo della missione, le sue
motivazioni, perché se l’obbiettivo della missione non è solo la raccolta di
dati, ma anche la colonizzazione di altri mondi allora la prospettiva cambia
completamente.
Continua.....
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